Mi sono imbattuto, casualmente, in questo TED in cui Alberto Cairo, fisioterapista ed esponente della Croce Rossa internazionale, parla della sua esperienza con i mutilati in Afghanistan.
Non posso che suggerire la visione integrale (ovviamente sottotitolata) del video, dal quale trapela un filo logico che riguarda, molto da vicino, anche il tema del lavoro. Provo a descriverne i punti chiave:
- La disabilità è, prima di tutto, una questione con sé stessi: non si possono fare altri passi se, prima, non ci si interroga e non si prova a trovare qualche risposta
- Quando arriviamo ad un rapporto equilibrato con la nostra disabilità, ecco che scatta, naturalmente, la molla del lavoro. È un momento magico, atteso, che giunge al momento giusto, magari spiazzando gli altri
- Chi lavora si eleva, perché si eleva la propria dignità e diventa un esempio per gli altri: un esempio a portata di mano e non un mito irraggiungibile
- Il mondo esterno riceve l’influsso positivo di chi ha una disabilità e si fa strada con le proprie forze
- Lo sport rappresenta un completamento della nostra vita, disabili o meno che siamo.
Temi che conosciamo ormai bene, a cui diciamo sì, ma forse non ancora un sì “interiore” veramente completo. Quindi testimonianze dirette come questa di Alberto Cairo non possono che aiutarci a guardare oltre la disabilità: una persona disabile è anche la sua disabilità – non ci stancheremo mai di ripeterlo – ma non soltanto la sua disabilità.