Nel giro di pochi mesi se ne sono andati Oliver Sacks e Renato Piagliacampo.
Il primo, conosciuto in tutto il mondo, è riuscito a raccontare, grazie alla potenza della letteratura, quello che scopriva dalla medicina. Un caso clinico (come le tante disabilità in cui Sacks si è imbattuto) costituiva l’occasione per trarne un racconto: paure collettive si sgretolavano e il cervello umano diventava sempre più conosciuto e, paradossalmente, sempre più misterioso. Il web è esploso alla notizia della sua scomparsa, ricordando i sui libri cult. Personalmente, quando penso a Sacks, torno con la mente allo stupendo Vedere voci. In questo testo, la curiosità di Sacks si concentra sulla lingua dei segni, la lingua per eccellenza dei sordi. Una pagina tira l’altra, generando una serie di riflessioni e di scoperte che, ben lontane da certe diatribe sterili – come quelle che nascono a volte nel mondo della sordità – mostrano invece un’altra sfaccettatura del diamante della razza umana.

“Leggi questo libro e scoprirai chi sei” mi disse, impetuoso, Renato Pigliacampo oltre quindici anni fa; “non sarai più quello di prima”. Renato Pigliacampo presenta molte analogie con Oliver Sacks. Non udente per una meningite contratta in giovane età, ha vissuto la disabilità da pioniere, laureandosi a Roma e dando inizio ad una brillante carriera di psicologo e narratore, per poi raggiungere anche il prestigioso traguardo di docente di Psicologia del minorato sensoriale presso l’Università di Macerata. Ha vissuto contagiando tutti coloro che ha incontrato con la sua voglia di vivere e ha scelto di affidarsi alla scienza e alla narrativa per raccontare e omaggiare il mondo che viveva. Entrambi hanno quindi conosciuto la disabilità; Pigliacampo l’ha vissuta sulla sua pelle, Sacks l’ha osservata e poi conosciuta anche in prima persona. Fortissime, quindi, le analogie tra i due. Anche “Rex” Pigliacampo, come noi sordi lo abbiamo sempre chiamato, ci ha lasciati alla fine di giugno, nello stesso giorno che dette i natali a Giacomo Leopardi (no, non può essere un caso…).

E io, disabile, che mi percepisco persona con disabilità prima di ogni altra cosa nella mia vita, sono rimasto orfano di due grandi uomini. Di due fari. Rex Pigliacampo, a cui devo il merito di avermi spinto a guardarmi davvero allo specchio per osservare, capire, accettare e superare la mia sordità, e Oliver Sacks, che col suo libro mi ha fatto capire, in modo scientifico, che la mia disabilità non è altro che una faccia dell’umanità di cui faccio parte. Una faccia di cui andare orgogliosi per una vita da vivere appieno, in una autentica “comunione col mondo”.
Per questo la disabilità può essere un handicap ma non ha handicap
Sono quindi un orfano fortunato. Più che alla loro assenza, penso alla loro continua presenza, grazie alle loro opere. I loro libri. Le loro parole che non possono morire. Lo ha scritto bene una cara amica non udente, Rosanna, in un post nient’affatto banale su Facebook nel giorno della scomparsa di Oliver Sacks:
Oliver Sacks, anche tu te ne sei andato sazio di giorni. Una vita frastagliata, sofferta, intrepida non può che trasformarsi in una perla per l’umanità e per la scienza. Da lassù piovano ancora tue pagine riempite di vita nel respiro del vento. Buon viaggio, Sacks che vai a congiungerti con Rex, il Guerriero del Silenzio per approfondire le vostre teorie!
Foto credits: La Stampa