È impossibile non comunicare
L’incipit del post riprende il primo dei cinque assiomi indicati dalla scuola di Palo Alto, di cui uno dei maggiori esponenti fu Paul Watzlawick: qualsiasi nostra azione è una forma di comunicazione. Uno sguardo, un movimento del corpo, un gesto, anche un silenzio: sono tutte forme di comunicazione.
La comunicazione ha un fine e un senso quando i codici trasmessi sono decifrati nella maniera corretta: l’italiano, ad esempio, è un codice, che acquista un significato quando è compreso, ad esempio due persone che comunicano utilizzando l’italiano. Nel caso l’italiano venisse utilizzato come codice comunicativo tra un inglese e una persona italiana, la comunicazione non avrebbe senso e le parti non capirebbero.
Se eleviamo questo concetto al mondo della disabilità, scopriamo che i codici comunicativi sono tanti e ancora non tutti sono stati compresi: un suono ha un significato preciso per una persona affetta da sindrome di Down, un movimento degli occhi indica un’azione nella persona tetraplegica… e così via nelle altre disabilità.
Una delle disabilità con le quali è più difficile comunicare è l’autismo, specialmente se le persone affette sono dei bambini: la persona vive nel suo mondo, con dei codici comportamentali e di linguaggio propri, di espressioni e di routine, spesso compulsive ma tranquillizzanti per la persona.
Elle Notbohm individua 10 elementi fondamentali per la comunicazione di un bambino autistico: è importante capire che ogni persona con cui ci relazioniamo ha una propria storia, background e unicità; facciamo uno sforzo che diventerà una virtù: ascoltiamo, osserviamo e rispettiamo sempre chi abbiamo difronte, farà bene a chi viene ascoltato e anche a noi!