Eugenio a bordo piscina

Cari amici e lettori, voglio chiudere questo 2020 così particolare, che ricorderemo a lungo come un momento che ci ha costretto a ripensare molte cose della nostra vita, con una testimonianza piena di forza e di speranza, che ci lanci nel nuovo anno, e magari in una nuova era, con una maggior consapevolezza sulle nostre azioni. Non sarà una cosa immediata, ma già volersi imbarcare in una sfida così alta è di per sé vincente. Buona lettura…

Mi chiamo Eugenio e questa è la mia prima intervista.

Non è facile raccontarsi, perché è praticamente da febbraio che non riesco a fare più nulla di quello che facevo prima.

Posso dire che ho 23 anni, che vivo con la famiglia, e che dopo il liceo scientifico e la scuola San Giusto di Milano ho finalmente cominciato a lavorare.

Mi piaceva la mia giornata prima di questo Covid. Al mattino mi preparavo, prendevo il treno per Milano, la metropolitana e mi recavo in ufficio.

Per me queste cose erano molto importanti… Lo so che sono cose che fanno tutti, ma proprio per questo per me erano importanti, perché anche io ero come tutti.

Poi la settimana si riempiva tra nuoto, scout e iniziative Agpd – Associazione Genitori e persone con sindrome di Down ONLUS – e la mia ragazza.

In ognuna di queste attività cercavo di essere indipendente, di muovermi da solo, di organizzarmi e di essere capace di fare le cose.

Adesso invece non faccio più niente e passo le mie giornate in casa. Questa condizione è veramente difficile. Il lavoro è sospeso, tutte le attività sono sospese e fare le cose con il tablet non è uguale. A me non piace molto tutta questa lontananza: passare troppo tempo davanti al video, lo stare isolato.

Ho avuto attorno a me, nel corso del tempo, molte persone importanti: mio fratello, mia nonna e i miei cugini che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. La mia insegnante delle elementari, quelle delle medie e l’insegnante di sostegno al liceo.  Loro mi hanno fatto amare la scuola e mi hanno aiutato a studiare e a capire molte cose.

Eugenio in primo piano

Poi gli educatori della scuola San Giusto e gli educatori di Agpd. Per me andare alla scuola San Giusto era un po’ come andare a una scuola dopo il liceo e imparavo a fare diverse attività.

In Agpd, invece, ho iniziato a fare delle esperienze nuove e mi piace frequentare le loro attività, anche per conoscere altre persone.

E poi, il responsabile dell’ufficio dove lavoro e tutti i colleghi, che mi hanno aiutato anche in momenti di difficoltà e mi spiegano cosa e come fare le varie attività.

Questo lavoro mi piace molto. Mi piace il luogo, gli uffici, la gente che incontro, l’atmosfera e i momenti che vivo con i colleghi. È un’esperienza bella, e mi sento a mio agio. È importante andare al lavoro perché è un’altra cosa che fanno tutti e che posso fare anche io.

Anche negli scout ho trovato delle persone importanti. Ci vado da tanto tempo e ora sto provando a fare il percorso da capo. In questo percorso mi confronto con altri ragazzi e anche con adulti. A volte faccio fatica e non capisco tutto o non riesco sempre a fare quello che mi chiedono. Però per me è importante esserci, imparare e cercare di aiutare i più piccoli nelle attività.

Io sono Down.

Sai quando l’ho capito veramente? Quando ho chiesto la moto come mio fratello e invece non ho potuto conseguire la patente. All’inizio mi sono arrabbiato. Poi mia nonna mi ha spiegato e lì per la prima volta ho capito che non potevo fare tutte le cose che fanno tutti.

Però io cerco di fare le cose che fanno tutti. Sai che sono andato in aereo da solo a Vienna, a Parigi e a Marsiglia, quando sono andato a trovare mio fratello? Lì mi sono sentito veramente grande.

Sai cosa mi pesa? Non potermi muovere la sera e non avere un gruppo di amici “amici”, con cui condividere il bar, il cinema, le gite, la pizza, le serate. Io vedo che gli altri fanno queste cose con i loro amici. A me questo manca. Mi manca avere amici.

Infatti quando c’è mio fratello frequento i sui amici con lui e in quelle occasioni mi sento come loro. Anche nelle attività di Agpd è difficile farsi degli amici, è difficile che ci organizziamo per fare cose da soli.

Con l’aiuto degli educatori sì, ma da soli non siamo capaci.

Sai un’altra cosa che mi fa sentire diverso qual è?  Che non posso andare a vivere da solo con la mia ragazza. A me piacerebbe vivere in una casa tutta mia, imparare a cucinare e stare con lei e fare le cose insieme.

Quando si poteva andare in ufficio io mi occupavo di organizzare tante cose: preparavo le sale riunioni, seguivo la dispensa, andavo a comprare quello che serviva, mi occupavo della corrispondenza o di distruggere i documenti, seguivo l’archivio.

Ora non riesco a fare nulla. Le giornate in casa sono lunghe. Aiuto in casa e faccio dei lavori, a volte cucino perché sono capace di fare uova, pasta e usare il microonde e mi capita di essere a casa da solo.

Cosa mi piace fare? Oltre quello che ti ho detto?

Andare in moto con mio papà, sciare e viaggiare con i miei genitori.

Mi sono piaciute anche le vacanze in barca a vela da solo e mi piaceva anche quando giocavo a calcio e facevo atletica.

Quest’anno per il Covid non c’è stata la settimana in barca a vela. Eppure stare quei giorni in barca, navigare di notte, dormire fuori nel mare,  aiutare a navigare era bellissimo.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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