Con riferimento al triennio 2016-18, è uscita di recente la IX Relazione al Parlamento sullo stato della Legge 68 (Collocamento mirato). Per un sunto efficace e preciso, rimando alla lettura di questo articolo di Superando e provo a toccare alcuni aspetti col contributo di esperti che hanno ben volentieri accettato il mio invito a lasciare un loro commento.

Come si legge nel report, fa effetto vedere il numero degli iscritti al collocamento mirato notevolmente salito, principalmente a causa della pandemia, e qui entro un po’ a gamba tesa ricordando che se l’obbligo, e soprattutto l’esonero dall’obbligo, è previsto dalla Legge, la Legge andrebbe presto ripensata, magari proprio a partire dalle modifiche del D. lgs. 151/15 che hanno portato comunque dei miglioramenti significativi, come ad esempio il sorpasso della chiamata nominativa rispetto all’avviamento numerico.

Proprio sulla chiamata nominativa, chiedo a Vincenzo Falabella, presidente della (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap): come Federazione l’avete voluta e sostenuta con forza, anche a costo di suscitare alcune riserve da parte dello stesso mondo associazionistico. Ma la scommessa è stata vinta. Quale la prossima sfida della FISH?

Come ho recentemente sottolineato (nota diffusa in occasione del ventiduesimo anniversario dall’emanazione della Legge 68, NdA) non ci si può limitare a tentare di trovare un punto di incontro amministrativo tra la domanda e l’offerta di lavoro delle persone con disabilità, occorre costruire un progetto completo di inserimento lavorativo, che nasca dall’eliminazione delle barriere presenti nel contesto lavorativo e che possa estendersi nell’intero supporto alla persona e nello sviluppo della sua capacità di adattamento.

La pandemia ha causato oltre un milione di nuovi disoccupati, in particolare donne, giovani, persone con disabilità, lavoratori autonomi e residenti al Sud. Seppur emergano alcuni dati di timida ripresa a causa degli effetti del cosiddetto Jobs Act, le scoperture rispetto alla Legge e alle assunzioni delle persone con disabilità sono ancora veramente troppe. Ciò dovrebbe far considerare come prioritaria l’emanazione delle Linee Guida per il collocamento mirato, attese ormai da oltre cinque anni (sarebbero dovute entrare in vigore entro 180 giorni dall’uscita del decreto). Il lavoro, infatti, non è solo remunerazione, ma è contesto, socializzazione, bene comune, vita attiva, indipendenza, formazione e una buona occupazione non può che passare da politiche attive e inclusive delle persone con disabilità.

Con Gianpaolo Torchio, Responsabile dei servizi per il mercato del lavoro della Provincia di Monza Brianza, vorrei capire meglio il fenomeno, sempre più diffuso, delle persone con disabilità che, volutamente, non si iscrivono al Collocamento mirato pur avendone tutti i requisiti.

Credo che sia importante riconoscere che il rapporto tra disabilità e lavoro non si esaurisce nella legge 68/99 per il collocamento mirato. Alle persone che lavorano nel quadro delle tutele della norma (350.000 secondo i dati necessariamente parziali della relazione, possiamo immaginare 450-500.000 effettivi) si aggiungono le molte persone che non utilizzano questo canale, o perché non si iscrivono alle liste dedicate del collocamento o perché non dichiarano la loro iscrizione al momento dell’assunzione. I motivi per cui questo succede sono due, per certi versi antitetici, anche se nella pratica non è raro che si sovrappongano. Il primo motivo è che molti riescono ad accedere al lavoro senza bisogno di dichiarare o “far computare” la propria disabilità da parte del datore di lavoro. Qui ci sono tutte le persone che lavorano in modo autonomo o con contratti non dipendenti, i professionisti, chi lavora in piccole aziende o piccoli enti non soggetti agli obblighi di assunzione, ma anche una fetta importante dei lavoratori con disabilità nelle cooperative sociali. Il secondo motivo è che diverse persone non dichiarano la propria disabilità perché temono di essere discriminate. Quindi non lo comunicano in sede di colloquio di selezione per non essere scartate e neppure lo fanno quando l’invalidità subentra durante la vita lavorativa, per timore di essere marginalizzate, se non progressivamente espulse dal contesto lavorativo. Spesso questi timori sono purtroppo fondati, soprattutto se pensiamo a disabilità con pesanti stigma come la disabilità psichica o a tutto il mondo delle malattie degenerative.

Che non emerga il primo segmento di popolazione nelle nostre statistiche credo che non sia grave, basta ricordarsi che esiste. È invece essenziale fare emergere il secondo gruppo di persone perché lì c’è uno spazio importante di mancate tutele e diritti negati. Per farlo si deve lavorare sulla cultura delle imprese e anche dei datori di lavoro pubblici: ribaltare l’idea che la disabilità sia un peso nei processi produttivi e valorizzarla come una delle necessarie diversità con cui le organizzazioni, per essere vive e adattive, si devono confrontare.

A Silvia Stefanovichj, responsabile dell’Ufficio Disabilità e Work Life Balance della Cisl Nazionale, chiedo di sottolineare ancora l’importanza dell’Accomodamento ragionevole, termine ancora non del tutto conosciuto dal mondo del lavoro e autentica chiave di successo per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.

I dati della IX Relazione al Parlamento ci mostrano una crescita rilevante e costante di avviamenti e assunzioni di persone disabili negli anni 2015-2018: sarà importante fare tesoro dei motivi che sono alla base di questa crescita per formulare nuove proposte per i difficili anni che ci attendono. La riforma del Fondo Nazionale e degli incentivi all’assunzione, la diffusione della chiamata nominativa, la tempistica più definita in caso di obbligo sono certamente elementi della “manutenzione straordinaria” del 2015 che hanno giocato ruoli importanti. Ora dovremo concentrare l’attenzione su due fronti: potenziare la rete di servizi e strumenti per le disabilità più gravi e promuovere ambienti di lavoro più “universalmente accessibili” a tutte le persone, anche con patologie croniche, in modo che ogni persona possa essere proficuamente inserita e valorizzata. Per un ambiente di lavoro “inclusivo” l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), coerentemente con la Convenzione ONU, invita a promuovere l’inserimento di “accomodamenti ragionevoli” che possono variare da modifiche di tempi e spazi di lavoro, all’ergonomia, alle tecnologie utilizzate, fino alla formazione e al coinvolgimento dei colleghi.

Queste tre testimonianze sono strettamente collegate tra loro: non smettere di far evolvere la Legge 68, renderla sempre più “attrattiva” verso chi ne ha diritto, dare un forte impulso alla cultura dell’accomodamento ragionevole sono –  alla luce dei dati – sicuramente tre passi da intraprendere. Il tutto sempre con un’attenzione particolare al modello bio-psico-sociale della disabilità, paradigma che, non solo contribuisce a collocare la disabilità in una dimensione più gestibile, ma che ci invita anche a guardare alla globalità dell’essere umano.

È stata l’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, meglio conosciuto come ISFOL fino a poco tempo fa), per conto del Ministero, ad elaborare i dati per la Relazione al parlamento: qui un executive summary molto utile per chi volesse ulteriormente approfondire.

Condivisioni
Articolo precedenteDISABILITY CARD E CONTRASSEGNO EUROPEO
Prossimo articoloLa storia di Luca: Tecnico R&D grazie a Jobmetoo
Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here