L’Università Europea di Roma ha ospitato nei giorni scorsi il convegno “Disability e diversity Management: il futuro del lavoro”, al quale hanno partecipato istituzioni, aziende e i novelli Disability Manager, in uscita dalla stessa Università.
Questa volta ero nelle vesti di spettatore e devo dire che è sempre molto utile cambiare prospettiva ogni tanto!
Vorrei condividere con voi alcuni spunti molto interessanti che sono emersi.
Ruolo delle istituzioni
Siamo spesso abituati ad ascoltare gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni come se fossero un rito, un momento convenzionale dal quale non ci si può aspettare nulla che non sia scontato. Questa è a mio avviso una prospettiva impropria. Ascoltare chi rappresenta le istituzioni, il linguaggio utilizzato (alcuni ancora insistono sui “diversamente abili”, altri sono molto attenti e parlano di “persone con disabilità”) aiuta ad avere il polso sul modo in cui le istituzioni percepiscono il tema della disabilità.
Tavola rotonda accademica
Alcuni esperti internazionali in tema di inclusione e disabilità hanno illustrato best practices in atto. Un tema molto interessante tra quelli emersi riguarda la programmazione del lavoro per il dipendente che rientra dopo una lunga assenza, dovuta ad esempio ad una maternità. Mi sono messo nei panni di un dipendente che torna al lavoro dopo diversi mesi, in preda inevitabilmente a molte emozioni. Indubbiamente, la possibilità che tutto il tempo trascorso fuori dal posto di lavoro sia utilizzato in modo proficuo, anche attraverso un legame costante con i colleghi e col lavoro stesso, mi è parsa un’idea molto interessante.
Il mondo delle associazioni
Gli esempi di bella inclusione portata dal mondo delle associazioni devono sempre fare i conti con l’aspetto non lucrativo di queste realtà. Si tratta di una linea di confine piuttosto delicata: se da una parte l’associazione opera processi di integrazione con relativa facilità, non esiste la “prova” del business, dell’efficienza e dell’efficacia. D’altra parte, sminuire gli esempi portati dalle associazioni significa disconoscere il loro lavoro e i loro esempi di successo, assolutamente replicabili.
Il mondo delle aziende
Qui si entra nel vivo, e i bei casi di integrazione portati al tavolo devono, stavolta, fare i conti con l’effettiva misurabilità dell’inserimento. E qui si apre un discorso molto complesso, che merita un approfondimento successivo, anche in più tappe. Per adesso mi limiterò a dire che i relatori al tavolo hanno dato prova di lungimiranza nel momento in cui hanno fatto rientrare il disability management nell’ambito di un più ampio contesto di diversity, per spingersi poi a conclusioni insieme avveniristiche e in fondo intuibili: ciascuno di noi è diverso dall’altro, ciascuno di noi ha esigenze specifiche, e la “lente” della disabilità può aiutare le aziende più attente ad individuare azioni che generino impatti positivi su tutta la popolazione aziendale, e non soltanto su determinate “categorie”. Un’altra questione che tende a ripresentarsi è quella dell’emersione della disabilità o, per meglio dire, dell’emersione di specifiche esigenze legate alla disabilità. Spesso le imprese non sanno neanche di avere personale con disabilità, quindi non sanno quali azioni implementare per favorire inclusione e accessibilità. Emerge, invece, la ritrosia dei diretti interessati. D’altra parte, come non immedesimarsi in un lavoratore con disabilità che teme – una volta comunicata la propria condizione – di essere ghettizzato o in qualche modo ostacolato? È una reazione istintiva e comprensibile. Ecco perché quanto più le aziende danno prova di reale inclusione tanto più sarà semplice far emergere esigenze particolari che chiedono di essere soddisfatte.
Se volessimo chiudere con una formula efficace, potremmo dire che proprio noi che siamo così coinvolti in questi temi, siamo anche un po’ dei pionieri, consapevoli di lavorare per qualcosa che, tra un certo numero di anni (direi una quindicina), non avranno più bisogno di essere discussi perché perfettamente interiorizzati dal mondo economico e dalla società civile.
Parole come diversity e inclusion potrebbero, tra non molti anni, uscire dal nostro vocabolario…
E vorrà dire che avremo lavorato bene!