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Ho scoperto Gianni Minasso sulle colonne di Superando (tra poco vi dico esattamente dove) e in questo articolo c’è un magnifico suo autoritratto. E già basterebbe, per quanti stimoli di riflessione ci offre, ma non ci accontentiamo e proviamo a conoscerlo ancora meglio.

Chi è Gianni Minasso?

E’ un signore miodistrofico piemontese, di 58 anni, né bello né brutto, né bravo né cattivo, né capace né incapace (infatti sua mamma si chiama Aurea Mediocritas). Nonostante tutto si ritiene fortunato negli affetti e nel benessere fisico e materiale. Ha vissuto (e, buon per lui, vive ancora) in una felice parentesi storico-geografica. Il suo epitaffio potrebbe essere: “Capì tutto, ma non imparò nulla”.

Andiamo con ordine: qual è lo scopo e che riscontri ha avuto il tuo lavoro sull’integrazione scolastica “Missione possibile“?

Lo scopo è stato quello di riunire alcune associazioni del settore mettendo in comune le esperienze di sensibilizzazione eseguite nelle scuole, per divulgare e fornire a queste ultime, in collaborazione con la Città di Torino, ulteriori strumenti e metodi per affrontare al meglio le problematiche degli studenti disabili. I riscontri sono stati soddisfacenti ma non eccezionali.

Ti ho conosciuto sulle colonne di Superando e precisamente qui: come nasce l’idea di affrontare la disabilità in modo (così) dissacrante?

L’obiettivo principale è stato ed è tuttora quello terapeutico. Infatti, dopo l’accettazione della mia disabilità, ho sentito l’impellente bisogno di scherzarci sopra, per dissacrarla e quindi esorcizzarla (sdrammatizzare è sempre meglio che disperare!). Infatti provo l’impellente esigenza di raccontare la disabilità portando alla luce quanto, ufficialmente, non si può riferire in pubblico o, peggio ancora, si deve mascherare. Poi c’è anche tanta voglia di ironizzare divertendosi e (magari) divertendo, cercando di trattare con lievità temi altrimenti considerati serissimi e dolorosi.

Una curiosità: le reazioni delle persone non disabili?

Sono sempre positive e decisamente divertite. In esse, talvolta, mi sembra di cogliere un larvato sollievo, quasi come se le critiche e le prese in giro che mi permetto di rivolgere a me stesso e ai miei colleghi disabili le avessero volute esprimere anche loro, non avendone però il coraggio. Ma forse, pensandoci bene, mi starò sbagliando… O no?

Una (grande) curiosità: e come reagiscono le persone con disabilità?

In genere, tranne qualche eccezione, quelli che commentano i miei testi e le mie immagini me ne parlano bene, approvano e sorridono. Invece i pochi altri integralisti disabili restano abbarbicati al loro scoglio di retroguardia, illudendosi così di difendere strenuamente la casta di intoccabili alla quale credono ancora di appartenere per diritto divino. Sinceramente, non mi interessa molto il loro pensiero.

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L’ironia è terapeutica, afferma Gianni Minasso

Nell’ultimo contributo “Perché mi piaci” percepisco un momentaneo allontanamento dell’ironia a favore di una sorta di accorato ringraziamento verso una persona con disabilità che immagini ideale. Premetto che apprezzo molti passaggi, ma mi permetto una osservazione sul seguente paragrafo: Amo il tuo rifuggire dalle trite locuzioni tipiche del contesto dell’handicap, come “azione sul territorio”, “inclusione sociale”, “abbattimento delle barriere”, “qualità della vita” e via via sproloquiando. Ebbene, non credi che abbattere le barriere sia forse un punto su cui val la pena di insistere in quanto, finché avremo barriere, non saremo nelle condizioni di essere veramente alla pari con tutti?

Sì, concordo pienamente con questo asserto, tuttavia l’iniziale spinta sociale di emancipazione dall’handicap, oggi s’impaluda spesso in anchilosate gabbie linguistiche che, ormai piene di ragnatele, annoiano il popolo, facendo così perdere l’attenzione degli ascoltatori e ammazzando in culla i reali e sacrosanti propositi di chi utilizza una carrozzina.

Quanto è importante, a tuo avviso, l’uso della corretta terminologia nella disabilità?

Ricollegandomi a quanto appena risposto, ammetto di detestare i mostruosi e ridicoli parti generati dal politically correct (se Disabile = Diversamente Abile allora Ladro = Diversamente Onesto?). Forse si pone troppo l’accento sull’uso di un’equa terminologia, trascurando poi aspetti ben più importanti. Per me fa sempre testo l’inarrivabile vignetta di Vauro: …Handicappato? Disabile? Diversamente abile? Non deambulante? – Veramente mi chiamo Filippo!

Ti riconosci nella Convenzione delle Nazioni Unite dei diritti delle Pcd?

Certo, sarei un pazzo a non riconoscere in essa gli stessi i valori e gli stessi obiettivi che colloco alla base della mia stessa vita e del mio modus operandi.

gianni minasso

Il tuo prossimo impegno?

Essendo una specie di calamita che, volutamente, attira oneri al limite delle proprie possibilità, ho solo l’imbarazzo della scelta. L’unico, piccolo aspetto negativo è che, come sempre, dovrò anche prostituirmi ad eseguire lavori di stampo burocratico per poi, finalmente, poter sfogare la mia (modesta) creatività nello scrivere, disegnare, leggere, ideare cose e parlare di disabilità e diversità nelle scuole.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

2 Commenti

  1. Anch’io spesso mi prendo troppo sul serio. Mi fa pensare quest’intervista e mi fa venir voglia di sorridere anche quando sarei crucciata.
    È difficile a volte accettare una disabilita’. Ad esempio non sempre riesco a sorridere nei momenti critici… però ci provo!
    “Thank you thousand”!

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