Una cara amica con disabilità, a proposito della Giornata mondiale da poco trascorsa, ha osservato che, finché si continuerà a festeggiare una ricorrenza, vorrà dire che per tutta la restante parte dell’anno non si fa ancora abbastanza. Le do perfettamente ragione. Ma voglio anche, nel mio ruolo di attivista oltre che di addetto ai lavori, far emergere alcuni aspetti incoraggianti di questo 2020, in cui ho notato alcuni progressi netti e decisi rispetto all’anno scorso. Perché il progresso funziona così: sembra tutto fermo, obsoleto, e poi un giorno ci si sveglia pervasi da un’aria effettivamente nuova e diversa. Ho notato, per la precisione, che è cambiato il linguaggio sulla disabilità.

Mi è sembrato, in alcuni casi, di sentire le stesse frasi che ripeto (senza mai stancarmi) da anni, stavolta da parte di un pubblico molto più vasto, e sempre più vasto. A volte mi è parso quasi che manager aziendali avessero copiato noi persone con disabilità che spingiamo per diffondere un linguaggio più al passo coi tempi e inclusivo. Ma nessuno ci ha copiato: hanno interiorizzato dei concetti a volte contro intuitivi, come l’analisi che bisogna rivolgere all’ambiente circostante ancora prima che alla disabilità, e li stanno pian piano facendo loro. Da cosa ne sono certo? Proprio dal linguaggio, dalle sue sfumature. Quasi nessuno usa più “disabile” come sostantivo, sempre più si dice “persone con disabilità”. Menzionano la Convenzione, alcuni si addentrano nel tema non ancora del tutto conosciuto degli accomodamenti ragionevoli; la disabilità, insomma, diventa sempre più qualcosa di normale, che in qualche modo ci riguarda, e se non ci riguarda sicuramente la conosciamo meglio (e, di conseguenza, ne abbiamo meno paura).

Il 3 dicembre, così come tutte le occasioni che lo hanno preceduto e anticipato, ha ancora necessità di essere celebrato, senza dubbio, ma a me piace pensarlo come un termometro del cambiamento. Proprio qualche giorno fa ho avuto uno scambio con una persona dalla disabilità invisibile che si sta dedicando ad un progetto molto interessante, a riprova del fatto che anche l’assistenzialismo sta via via per essere lasciato alle spalle dalle persone con disabilità. Perché ci sono anche loro. Perché nessun ragionamento, nessun miglioramento può essere attuato senza la loro reale partecipazione (che è un’altra parola chiave). Se penso a quando “aspettavo un lavoro” con la Legge 68 ad oggi, beh, devo dire che le cose sono molto cambiate, molto migliorate. E questo va riconosciuto.

Di sicuro, aver capito le potenzialità delle persone con disabilità in qualità di consumatori ha fatto accendere alle aziende ben più di una lampadina. In un momento in cui le strategie marketing dei grandi brand lavorano su intelligenza emotiva, capacità di associazioni (basta fare un giro sul web per rendersene conto) che consentono di vendere il doppio dei cioccolatini se li abbini ai wafer anziché alle caramelle, aver “scoperto” che le persone con disabilità possono (io dico: devono) essere consumatori di beni e servizi è stato sicuramente d’aiuto.

No, non immaginavo di scrivere un post del genere nel 2020. Certo c’è molto da fare, ma la strada tracciata è a mio avviso una bella strada.. E, come a me piace dire, se tra alcuni anni parlare di disabilità sarà la normalità, noi persone con disabilità avremo dato il nostro contributo per la vittoria, una vittoria molto speciale in cui profitto ed etica parlano lo stesso linguaggio.

Vi saluto con questo video in cui, come Jobmetoo, cerchiamo di spiegare come la passione sia il motore di ogni successo.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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