È del 10 settembre, una manciata di giorni fa, il deposito di una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che riguarda, ahinoi, l’Italia. Nello specifico, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per la violazione del diritto allo studio di una studentessa con disabilità.

 

Nel caso G.L. c. Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver fornito una adeguata assistenza scolastica ad una minore, affetta da una forma di autismo, nei primi anni della scuola primaria. È stata accertata la violazione dell’articolo 14 (Divieto di discriminazione), e dell’articolo 2 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Diritto all’istruzione). In parole più semplici, si condanna la mancata assistenza scolastica che sarebbe non solo stata un diritto della minore, ma soprattutto si rileva come questa mancata assistenza in un’età così delicata possa generare gravi conseguenze per tutti i processi di crescita, socializzazione e istruzione.

 

Ho avuto il piacere di essere un allievo del professor Giuseppe Arconzo, Professore Associato di Diritto Costituzionale presso l’Università di Milano in un corso post universitario e gli ho chiesto un commento su questa vicenda. Con la disponibilità che sempre lo distingue, mi ha fatto avere questo virgolettato che condivido con voi.

 

“La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato per la prima volta l’Italia a risarcire i danni causati ad una studentessa con disabilità che non ha potuto usufruire degli strumenti indispensabili per l’effettivo esercizio del suo diritto allo studio. La studentessa è stata quindi riconosciuta vittima di una inammissibile discriminazione, lesiva dei diritti fondamentali affermati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La stessa Corte ricorda – e questo va sottolineato – che la normativa italiana prevede che agli studenti con disabilità siano garantite le misure necessarie (insegnanti specializzati, assistenti all’autonomia e alla comunicazione, ecc.) per godere, in modo concreto ed effettivo, del diritto allo studio.

 

Nel caso in questione (che risale agli anni 2010-2012, ed è stato portato all’attenzione della Corte europea nel 2015) tale diritto era però in realtà rimasto scritto soltanto sulla carta, privo di concreta attuazione. Neppure i giudici amministrativi italiani, cui i genitori della ragazza si erano puntualmente rivolti, avevano accertato la lesione del suo diritto allo studio, ritenendo invece che la scarsità di risorse addotta dall’amministrazione scolastica potesse giustificare la mancata predisposizione delle misure di sostegno. La Corte europea ha stigmatizzato tali decisioni, osservando che se la mancanza di risorse incide negativamente soltanto sul diritto allo studio degli studenti con disabilità, essa finisce per determinare una situazione discriminatoria, poiché determina l’impossibilità per questi ultimi di affrontare l’esperienza scolastica in condizioni di parità con gli altri studenti.

 

Con questa importantissima pronuncia, la Corte europea dei diritti dell’uomo si allinea alle posizioni già fatte proprie dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione italiana. Da un lato, infatti, la Corte costituzionale, nelle sentenze n. 80 del 2010, n. 275 del 2016 e 83 del 2019, ha già affermato che il diritto allo studio degli alunni con disabilità «non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali». Dall’altro lato – come non manca di notare anche la Corte europea di Strasburgo – ormai da qualche anno anche la Corte di cassazione italiana qualifica discriminatorie, ai sensi della legge n. 67 del 2006, le situazioni in cui le istituzioni scolastiche non garantiscono le misure volte a rendere effettivo il diritto allo studio per gli alunni con disabilità (cfr., tra le più recenti, Corte di cassazione, sezioni unite, 28 gennaio 2020, n. 1870).

 

Insomma, nessun dubbio può ormai più sussistere quanto al dovere dello Stato italiano di assicurare in modo effettivo il diritto allo studio degli alunni con disabilità. L’auspicio – che in questi giorni in cui prende avvio il nuovo anno scolastico appare purtroppo destinato a restare tale – è che il ricorso ai giudici per affermare tale principio non sia più necessario: questo significherebbe infatti che ogni studente con disabilità ha potuto affrontare i suoi studi senza essere discriminato.”

 

Di questa preziosa e autorevole testimonianza, che offre molteplici spunti di riflessione, non soltanto giurisprudenziali, mi soffermo su un punto che mi è caro da sempre: non possiamo parlare di lavoro e quindi di autodeterminazione della persona (con o senza disabilità) se prima non siamo certi di garantire il diritto e l’accesso allo studio a tutti coloro che saranno i cittadini del domani.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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