Young secretary with tablet standing by her boss in wheelchair at meeting

Non è una notizia che la disabilità sia una delle prime cause di impoverimento: in Italia così come in Europa. Che si tratti di una persona con disabilità che non lavora, o che lavora in modo non continuativo, o piuttosto del suo familiare costretto sovente a dimettersi dall’impiego per prestare attività di cura, la musica non cambia: la disabilità comporta dei costi, spesso elevati, che generano prima o poi impoverimento. I viaggi, per una persona con disabilità, hanno spesso come meta un ospedale: sembra una battuta di cattivo gusto ma è la verità. Gli ausili, di ogni tipo, evolvono rapidamente, e acquistare (non sempre si è rimborsati per intero) una nuova protesi o una carrozzina non è certo per rispondere ad un capriccio ma perché tali strumenti rendono la quotidianità meno pesante. Se poi non si hanno le risorse per un caregiver, ecco che si lascia il lavoro. I fondi a disposizione possono anche sembrare alti come cifra a sé, ma se poi consideriamo che a ciascuno arriva una fetta spesso troppo piccola, comprendiamo come si tratti solo di un tenere botta, giorno dopo giorno, e domani chissà.

Gira una bella citazione sul web, tratta dal Premio Nobel per l’Economia 1998 Amartya Sen:  gli invalidi sono spesso, per quanto riguarda il reddito, i più poveri tra i poveri, nonostante il loro bisogno di denaro sia superiore a quello dei normodotati, dal momento che per cercare di condurre un’esistenza normale e di ovviare ai propri handicap, hanno bisogno di più soldi e di più assistenza.

Questo dell’impoverimento legato alla disabilità credo sia un tema ancora troppo poco considerato. Tolto l’aspetto economico, c’è un’altra conseguenza pesante: il rischio di esclusione sociale. Sappiamo benissimo che la “rete” delle relazioni che intessiamo nella nostra vita è un valore che può anche tornare utile per le nostre professioni e la nostra carriera. Per una persona con disabilità, senza chiare prospettive lavorative, con una quotidianità che erode ogni giorno una parte di patrimonio per spese legate alla propria condizione, è oggettivamente più difficile creare la propria rete.

Come si risolve tutto questo? Non sono mai stato per le risposte semplicistiche, ma il lavoro è l’unica risposta a tutte queste domande. La persona con disabilità che lavora (e credo sia inutile fare qui esempi che, nel 2021, ormai sono chiari a tutti) raggiunge tre obiettivi, uno più impattante dell’altro:

  • trova il proprio posto nel mondo, con un deciso impulso verso l’autodeterminazione;
  • alleggerisce il carico assistenziale in capo allo Stato e alla famiglia di appartenenza;
  • diventa un volano di economia e società.

In che modo il disabile diventa un “volano” dell’economia? Perché, come tutti, siamo consumatori, non solo di beni e servizi legati alla disabilità, ma anche di beni e servizi generalisti: dai viaggi (non all’ospedale…) ai comuni beni quotidiani. Se la persona con disabilità lavora, abbassa notevolmente, e magari azzera, il rischio di esclusione sociale: e così diventa un volano anche per la vita collettiva.

Ho un caro amico in condizione di disabilità che, un giorno, mi portò a fare un giro con la sua auto sportiva. Invero mi fece un po’ d’impressione con alcune accelerazioni! Poi ci fermammo e mi guardò con uno sguardo ironico: “Sai cosa pensano le persone a proposito di questo bolide?” mi disse. Capì che avevo capito, ma lo lasciai continuare. “Pensano che me l’abbiano comprata i miei genitori. Quando spiego che l’ho comprata coi miei soldi, quasi non ci credono e mi chiedono cosa faccia nella vita”. Così parlò il mio amico, ingegnere informatico. A volte la democrazia passa anche per un’auto di grossa cilindrata.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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