
Era in fondo prevedibile: la nomina di Erika Stefani quale Ministro per le disabilità ha diviso il mondo dei diretti interessati in due fazioni, chi a favore e chi no. Basta fare un giro sul web per rendersene conto, al netto dei riferimenti a tutto ciò che riguarda il “marketing politico” e l’utilizzo della disabilità quale fattore di consenso. Non parlerò di questo, non perché sia trascurabile, ma perché vorrei focalizzarmi sul quesito chiave: ci serve davvero un ministro ad hoc?
A grandi linee, cerchiamo di capire perché alcuni sono a favore e altri contrari.
Chi è favore sostiene che un dicastero (senza portafoglio) è indispensabile per imporre e guidare quelle linee di indirizzo che servono a restituire parità di cittadinanza a fasce di persone ad alto rischio di esclusione scolastica, lavorativa, sociale. Tra l’altro il discorso vaccinazioni – va precisato – non è focalizzato solo sui disabili, ma anche su tutti coloro che li circondano (persone che assistono, caregiver, parenti, insegnanti di sostegno, ecc). Chi è contrario (anche in modo acceso) sostiene che più che un ministro ad hoc, è necessario che il tema disabilità – che tocca tutte le sfere della nostra vita – sia trasversale a tutti gli altri dicasteri. In altre parole, ciascun Ministro deve avere una particolare attenzione alle persone con disabilità per il tema di cui è delegato.
Per quello che può contare la mia opinione, penso che entrambe le visioni siano corrette. Dando per corrette due posizioni opposte, devo però fornire la chiave che può rendere coerente la mia affermazione. Questa chiave si chiama “tempo”. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo del fronte “no” (quindi se vogliamo che il tema “disabilità” sia spalmato e gestito da tutte le aree di chi governa), dobbiamo cogliere l’opportunità di avere un Ministro dedicato che lavori con questa chiara prospettiva: non avere più la necessità di un ministro. Ed è quello che Stefani sta già iniziando a fare, perché proprio alcuni giorni fa ha affermato, dopo un incontro con le principali Federazioni, di voler coinvolgere da subito altri Ministeri: Salute, Trasporti, Istruzione e Lavoro. A riprova che la disabilità è trasversale e che tocca ogni aspetto della vita, non solo nostra.
Sappiamo poi bene che le politiche (ossia le scelte) si fanno coi numeri e con le azioni concrete. Sulla disabilità, come sottolinea Carlo Giacobini su Vita, siamo in notevole ritardo: da ben 5 anni aspettiamo le “Linee guida sul collocamento mirato” previste dal D. Lgs. 151/15 (quello del Jobs Act, per capirci). È evidente che anche i migliori intenti di ammodernare la Legge 68 non vanno lontano senza strumenti. (Potrei anche dilungarmi sui ritardi biblici del Piano d’Azione Biennale che cita sempre Giacobini ma rimando alla lettura del suo articolo). Quindi se avessi possibilità di parlare al neo Ministro, direi: poche, buone regole, ma che siano applicate. E, ovviamente, i più sinceri auguri di buon lavoro. Troverà un mondo in fermento, anche spigoloso, anche contraddittorio, ma vorrei emergesse il segno della maturità che i disabili stanno conquistando.
Ah, per chiudere: se vogliamo considerare la disabilità uno strumento per ottenere consenso da parte dei politici, che quindi ci considerano elettori a tutto tondo, persone che hanno voce in capitolo nella vita pubblica, beh, questo lo vedo come segno indubbiamente positivo.