Stefania Delendati, in primo piano mentre legge un libro

Non ho mai pensato che avere una disabilità renda “speciali” a prescindere, proprio perché mi sono sempre sforzato – su di me per primo – di considerare pari agli altri anche chi porta con sé condizioni di diversità (quale che essa sia). È altresì vero che, ben spesso, vivere con una disabilità ci dà l’occasione di aumentare la sensibilità interiore verso certi temi che possono sembrare banali o scontati. Ho voluto parlarne con Stefania Delendati, che conosco da diversi anni e che, finalmente, ho il piacere di ospitare nel nostro blog.

Grazie Stefania per aver accettato di rispondere alle nostre domande! Presentati per i nostri lettori!

Grazie a voi per questa intervista! Sono una quarantaquattrenne giornalista pubblicista dal 2000, per passione e un po’ per caso, da ultimo anche per lavoro. Ho dovuto interrompere gli studi dopo la scuola dell’obbligo a causa di problemi di salute legati alla disabilità, però ho sempre cercato di coltivare i miei interessi, tra cui la scrittura figura al primo posto, e sono riuscita a farne una professione che, oltre alle soddisfazioni personali, per diversi anni mi ha consentito di avere una piccola autonomia economica.

Cosa significa per te essere una giornalista?

Un privilegio innanzitutto, è una fortuna riservata a pochi poter fare quello che si ama. Più che “giornalista” mi sento una persona che comunica e racconta storie, storie positive e qualche volta difficili che mi/ci insegnano la volontà di non arrendersi di fronte alle turbolenze della vita e alle ingiustizie della società (queste ultime creano più problemi della vita stessa!). Scrivere mi arricchisce dal punto di vista umano, conosco gente e non smetto mai di imparare, non necessariamente sul sociale, perché ho scritto anche di storia, tradizioni e arte del mio territorio. Insomma, ogni articolo è un viaggio in un paese inesplorato.

E il fatto che tu abbia una disabilità come influisce sul tuo mestiere?

Influisce dal punto di vista pratico. I limiti fisici ci sono e pesano, inutile negarlo, così come i giorni di maggiore stanchezza che rallentano il lavoro. Aggiro i problemi, in tutto o in parte, con la tecnologia, penso ad esempio all’insostituibile programma di riconoscimento vocale che mi consente di scrivere al pc, attività altrimenti impossibile visto che non riesco a muovere le mani. Il contenuto dei miei articoli non credo risenta della disabilità, certo conosco l’argomento, ma sarebbe oltremodo presuntuoso pensare che quello che scrivo su determinate tematiche sia “migliore” solo in virtù della mia sedia a rotelle.

In questo splendido articolo parli dei nostri antenati con disabilità e ti faccio una domanda un po’ difficile: cosa è cambiato secondo te e cosa non è ancora cambiato?

Se dovessi scegliere un’epoca in cui vivere, senza dubbio sceglierei quella attuale. I mezzi a nostra disposizione per raggiungere una maggiore autonomia non sono neanche lontanamente paragonabili al passato, neppure a pochi anni fa. Documentandomi per questo articolo ho scoperto che l’uomo ha sempre cercato di superare gli ostacoli, e anche dal punto di vista culturale passi avanti ne abbiamo compiuti, le persone con disabilità stesse oggi sono più consapevoli dei loro diritti. Tuttavia il germe della discriminazione è ancora presente e si nota in periodi come questo di pandemia. L’isolamento forzato, la sospensione o riduzione dei servizi sociosanitari, soprattutto sapere che persone con disabilità sono morte da sole in ospedale perché non c’è stata la volontà di andare incontro alle loro esigenze specifiche, consentendo la vicinanza in sicurezza dei familiari, sentire che bisogna curare chi ha più probabilità di guarire lasciando indietro i più fragili, sono notizie che fanno male e dimostrano quanto ancora ci sia da lavorare.

Cosa fai nel tempo libero?

Leggo spesso e volentieri di tutto un po’, con una predilezione per i romanzi horror. Ascolto musica, guardo tanti film e con le moderne piattaforme c’è l’imbarazzo della scelta! Mi piacciono molto i documentari di carattere storico e artistico; più recente, sebbene non ancora “attecchita”, la passione per le serie tv. Ultimamente la necessità di mantenere il distanziamento mi ha portata a curare le amicizie attraverso telefonate e messaggi, questo mi ha permesso di capire quanto il “virtuale” può far sentire vicine le persone che non puoi incontrare faccia a faccia. Il periodo storico che stiamo vivendo obbliga tutti a reinventarsi, i disabili non fanno eccezione.

Quando Stefania afferma che i suoi articoli non sono migliori di altri solo perché vive in sedia a rotelle dimostra quella sensibilità (e quell’onestà intellettuale) di cui parlavo in apertura. È anche vero che la stessa onestà la porta a toccare temi difficili, come quello della latente discriminazione che, in casi come la pandemia, può fiorire indisturbata. Se una lampadina in tal senso si accende, obbligandoci ad intervenire prontamente, lo dobbiamo a persone e professioniste come Stefania Delendati, che ringrazio di cuore per essersi dedicata a noi.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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