Conosco Isabella Ippoliti da diversi anni, Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni. Laureatasi in Ergonomia, ha poi conseguito un Master specifico (prima edizione in Italia) in Ergonomia presso il Politecnico di Milano. Isabella è anche specializzata in counseling strategico sistemico. Un curriculum di tutto rispetto per una professionista che rappresenta, come dico spesso, il tesoro nascosto che fa parte del “mondo disabilità”. Conosciamola meglio, allora!

Ciao Isabella, ci conosciamo da molti anni ormai e spesso abbiamo collaborato su progetti molto interessanti. Partiamo proprio dall’ultimo, attualissimo, in questo periodo di lockdown: “A casa, ma insieme”

L’ultimo progetto “A casa, ma insieme” è un intervento promosso dall’Associazione “L’Ortica” di Milano, e realizzato grazie ad un finanziamento della Fondazione Comunitaria di Milano.
Nasce dall’esigenza di sostenere le famiglie di ragazzi con autismo; necessità ulteriormente accresciuta in questo periodo di emergenza Covid-19, dove il peso delle fatiche che, ogni giorno, tanti genitori devono affrontare per la gestione dei figli con disabilità è emerso in maniera consistente per diverse cause concomitanti: la sospensione della scuola, la sospensione delle cure, la chiusura dei CDD e dei centri di riabilitazione.
Per questo, abbiamo pensato di creare una connessione con le associazioni di prossimità, come ad esempio L’Ortica, per garantire un legame minimo con la “normalità” di alcune situazioni: ad esempio, dando la possibilità ai ragazzi di continuare a svolgere alcune attività, ma soprattutto sostenere i genitori con un intervento di supporto psicologico a distanza sia individuale che di gruppo così da far venire meno il loro senso di isolamento.

Come dicevo nella mia introduzione, hai una formazione molto specifica su molteplici temi: cosa ti ha avvicinato alla disabilità?

Mi sono avvicinata alla disabilità per “serendipity”! Non ero coinvolta e formata inizialmente, ma l’organizzazione del privato sociale dove lavoravo, mi disse un giorno: “per te c’è un lavoro che nessuno vuole fare perché non è nella nostra mission prioritaria: te ne vuoi occupare tu?”. Cosi ho iniziato ad appassionarmi ai bisogni, alle tecnologie assistive, ai contenuti, alle normative ed infine ai bandi, insomma a tutto ciò che potesse essere di aiuto a chi rimaneva indietro. Mi irritava la pura logica assistenzialista che circolava intorno alla disabilità.

Così, senza pensarci troppo: cos’è per te la disabilità?

Una compagnia faticosa, ma anche una fonte di vita e di socialità.

Ricordo un bel progetto realizzato con la Provincia di Monza Brianza: senza scendere nei dettagli, ho notato che questo tipo di progetti dimostrano la collocabilità anche di disabilità molto impegnative: qual é il tuo messaggio al mondo del lavoro che può prendere esempio da questi spunti?

Il lavoro è possibile per tutti. Viviamo in un’epoca in cui tutto, dalla ricerca, alla tecnologica, all’empatia aziendale, alle best practice, alle norme, al diversity management, ci possono dare una mano: dobbiamo essere aperti. Abbiamo tutti gli stessi diritti, anche se cambiano le prospettive di ciascuno.

Soffermiamoci sul counseling: quanto può essere utile per le persone con disabilità? Hai un esempio concreto da raccontare?

Sì, certo un milione di esempi! Posso citare il progetto realizzato per persone con disabilità uditiva che ho svolto nel 2017, con la cooperativa Spazio Aperto, all’interno del Piano Emergo della ex Provincia di Milano dove ho studiato un’applicazione per un lavoratore sordo addetto delle pulizie in una grande azienda multinazionale. L’applicazione in questione, era una app sensibile e creata con il lavoratore stesso per venire incontro alle esigenze acustiche della persona, soprattutto per la gestione della sicurezza al lavoro. Oppure, un altro esempio che posso farti risale al 2015 per EXPO, quando, in Cascina Triulza, abbiamo creato un percorso per l’accessibilità di persone con limitazioni sensoriali uditive e visive.
Le aziende vogliono avere dimostrazioni e certezze: proprio per questo, nel 2016, grazie ad un team di studiosi (architetti e industrial designer), abbiamo realizzato, sempre con l’aiuto del Piano Emergo, un vero allestimento di un ufficio IDEALE per le persone con disabilità sensoriali. Abbiamo fisicamente rappresentato tre ambienti di lavoro accessibili per far capire agli imprenditori che oggi, anche con pochi interventi finanziari, possiamo realizzare un ambiente davvero inclusivo per tutti. I tre ambienti, esposti alla Casa dei Diritti nel dicembre 2016, patrocinata dal Comune di Milano, rappresentavano rispettivamente una reception, una workstation lavorativa e una zona pausa relax. Lo stesso tema, dell’ufficio ideale per le persone con disabilità sensoriali, è stato invitato al Fuori Salone del Mobile nell’aprile 2017.

La nostra comune amica Consuelo Battistelli dice sempre che non esistono “bisogni speciali”, perché tutti abbiamo gli stessi bisogni. Cosa ne pensi?

Condivido al 100%. Tutti noi abbiamo e siamo portatori di desideri ed esprimiamo gli stessi bisogni, ovvero: di sentirci bene nei contesti di vita, di amare, di lottare per emanciparci e di esprimerci anche in modi diversi. La disabilità non è solo malattia, vincoli e fatiche: oggi questa idea non dovrebbe più esistere. La diversità è ricchezza, non povertà: riconoscerla è importante.

L’ergonomia, altro tuo campo d’azione, è forse ancora sottovalutato: cosa ci diresti in merito?

L’ergonomia, disciplina ponte tra le scienze umane, della materia e dell’energia, è purtroppo una mia passione non del tutto spesa. In Italia si fa ancora fatica a comprendere le sue potenzialità, oltretutto è molto specifica in determinati campi applicativi e legata, ovviamente, al mondo della ricerca accademica. È una disciplina connessa a tutto e che tutto connette: l’ambiente fisico, tecnologico, antropometrico, psicologico e materiale. È una disciplina da me molto utilizzata nell’inserimento lavorativo in azienda.

Si parla sempre più di Disability management: cos’è per te e come si dovrebbe applicare?

Una prassi manageriale che riguarda l’intera organizzazione, non una costola delle risorse umane. Questo perché, con il progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa, saremo tutti portatori – se non di una disabilità – quantomeno di debolezze delle nostre facoltà.

Ultima, ma sentita domanda: spesso è difficile occuparsi di disabilità senza essere percepiti come estranei. Quali accorgimenti metti in atto per rendere le persone con disabilità partecipi del tuo lavoro e dei tuoi sforzi per loro?

È vero, ma con l’esperienza, grazie al lavoro con gli altri, uso l’empatia: “mi metto nei panni di”. Poi, uso molto le tecniche di ascolto, raccolgo bisogni ed aspettative, e, infine, opero un’azione di co-design. In sintesi chiedo, attraverso i focus groups, se per loro va bene la soluzione che abbiamo pensato assieme, e se le loro parole sono state ascoltate. In questo modo il lavoro diventa uno strumento che include le idee e i bisogni di tutti.

Grazie Isabella, anche se ti conosco da anni, oggi ho imparato nuove cose. Innanzitutto, partendo dalla fine, che rendere gli altri partecipi del nostro lavoro crea un legame forte e autentico. Poi che l’ergonomia non è soltanto, banalmente, raddrizzare lo schienale di una sedia, ma, più nel profondo, una ridefinizione del nostro modo di essere e di vivere l’ufficio, oltre che la casa ed il mondo. Io credo che le persone con disabilità debbano dire “grazie” a chi – come Isabella – si dedica quotidianamente a loro con un alto livello di professionalità ed empatia!

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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