© auticon srl 2020

Nell’incontro di oggi, parleremo di autismo ad alto funzionamento con Alberto Balestrazzi, che ho conosciuto fin da quando Auticon, di cui è CEO, è nata in Italia, ossia poco più di un anno fa (inizio 2019).

Prima di iniziare l’intervista con Alberto, vorrei condividere con voi una breve riflessione personale.

Ad un convegno, nell’autunno scorso, ho conosciuto un ragazzo con disabilità, con un ottimo standing, con cui ho avuto uno scambio interessante in tema di lavoro. Abituato come sono, ogni giorno di più, a relazionarmi con le disabilità più diverse, non m’interessava sapere “cosa avesse” la persona dinanzi a me, ma ero molto più interessato ai contenuto del nostro dialogo.

Alla fine, al momento dei saluti, fu lui a dirmi di avere una diagnosi di autismo ad alto funzionamento (ossia Asperger) e che, per tale ragione, aveva parecchie difficoltà a trovare lavoro. Mi ero trovato davanti ad una persona con disabilità invisibile, o almeno non immediatamente visibile a prima vista, e, allo stesso tempo, ero davanti ad un professionista con una laurea e due lingue parlate fluentemente.

Ciao Alberto e grazie per il tempo che mi dedichi: il 2 aprile si è tenuta la ricorrenza della Giornata mondiale dell’autismo, quali le tue riflessioni?

Ciao Daniele e grazie a te per questa intervista e soprattutto per il sostegno che ci hai dato fin dall’inizio della nostra “avventura” in Italia, come hai ricordato. Quest’anno il 2 aprile è ovviamente passato sottotono visto che tutta la comunicazione è concentrata sull’emergenza Covid-19, ma rimane una data importante per tutti coloro che si occupano non solo di autismo, ma in generale di diversità.

Portare all’attenzione della comunità la realtà dell’autismo, che riguarda centinaia di migliaia di persone solo in Italia a quasi un centinaio di milioni di persone nel mondo, è non solo un dovere morale, bensì una necessità perché si tratta spesso di una disabilità invisibile, nascosta, talvolta mitizzata da serie televisive e film. Nella realtà – tuttavia – è un fenomeno che ha importanti ripercussioni sociali ed economiche: dalla necessità di sostegno durante il periodo scolastico alla quasi impossibilità di trovare un impiego per queste persone nel mondo del lavoro.

In questo periodo di isolamento forzato, poi, è ancora più importante pensare alle famiglie di persone autistiche che hanno dovuto interrompere le terapie, i sostegni psicologici, l’assistenza presso i centri di psicoterapia, aggravando ancora di più una situazione difficile.

Per questo, come Auticon, abbiamo voluto celebrare il 2 aprile di quest’anno così particolare mettendo a disposizione di tutte le famiglie un laboratorio online per sostenere i processi di apprendimento di persone autistiche, e con disabilità intellettiva, condividendo in rete materiale didattico utile sia alle famiglie sia ai caregiver delle persone più fragili, i quali come detto si sono trovati – nel corso di questa emergenza sanitaria causata dal COVID19 – senza alcun supporto o sostegno.

Molto, interessante. Di autismo quindi se ne parla sempre più e meglio: quanto, nel concreto, le aziende comprendono le potenzialità di queste persone?

Sicuramente l’attenzione mediatica sull’autismo è aumentata in questi anni, ma è ancora molto rivolta al “problema” piuttosto che a trovare “soluzioni”.

Da una parte c’è sicuramente maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica e, quindi, nelle aziende che si tratta di una condizione molto più diffusa di quanto si pensasse tempo fa; dall’altra c’è ancora poca considerazione rispetto al fatto che includere realmente una persona autistica in azienda è un’operazione che richiede una modifica o meglio un adattamento di alcune dinamiche “sociali”, mentali, aziendali e di organizzazione che spesso caratterizzano i processi aziendali.

Ad esempio, partendo dal semplice colloquio di assunzione, occorre tenere conto delle difficoltà delle persone con questa condizione nel gestire una conversazione; è dunque opportuno puntare molto di più sugli aspetti di accertamento delle effettive capacità. Inoltre, è necessario comprendere che le riunioni non vengono percepite come momenti anche di socializzazione, ma solamente come condivisione dei risultati e pianificazione delle azioni successive.

Lo so, sto dicendo quello che ogni manuale di management predica, ma la realtà aziendale è spesso molto diversa! Quando le aziende capiranno che l’inclusione della neurodiversità può essere un vero elemento di “trasformazione” a beneficio di tutti e non solo delle persone autistiche, allora l’autismo non sarà più un problema, ma parte della soluzione.

Alberto, raccontaci un mito che vorresti sfatare

Grazie per la domanda Daniele. Devo dire che potrei farti molti esempi, ma il principale mito che vorrei sfatare è quello che più comunemente si associa alle persone affette dalla sindrome dello spettro autistico: ovvero la mancanza di empatia.

Proprio così, al contrario di quello che si possa pensare, devo dire che nella mia carriera raramente ho incontrato persone autistiche con un approccio inaspettatamente inclusivo nei confronti degli altri; persone disposte ad andare a fondo ai problemi e disponibili nell’affrontare sfide sia personali che professionali, “affamate” di conoscenza e desiderose di imparare e di ricevere consigli da persone di maggiore esperienza.

Si può però dire che esprimono tutto questo in maniera differente, con un approccio e linguaggio diretto e senza molti “giri di parole”, con azioni concrete piuttosto che con il linguaggio dell’espressività. Sintetizzando, direi che esprimono tutto questo “con cervello” e non “con la pancia”: sta a noi, che ci riteniamo così empatici, imparare e capire i loro modi differenti di espressione.

Sempre a tuo avviso c’è qualcosa che non è stato ancora detto?

Sì, ritengo che la condizione autistica sia molto più articolata di quello che spesso si racconta: ogni persona con questa condizione è diversa dall’altra e per quanto cerchiamo di fare generalizzazioni sui comportamenti “tipici”, ci scontriamo con la complessità della psiche umana. Questa complessità richiede dunque un approccio individualizzato sia nella fase di sostegno scolastico sia nell’inserimento lavorativo.

Per entrambe le situazioni sono necessari l’aiuto ed il sostegno di specialisti (educatori, psicologi, job coach) che conoscono profondamente l’autismo, con una significativa casistica, ma soprattutto che sanno adattare le tecniche “da manuale” ad ogni specifica situazione e condizione della persona che si trovano a seguire sia in ambiente scolastico sia in ambiente lavorativo.

Ora, parliamo di numeri e fatti: Auticon nel mondo ha raggiunto traguardi significativi. Tu, che vieni dal mondo della consulenza, puoi fornirci qualche numero?

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Auticon ha ormai una storia di 8 anni, ma fino al 2016 è rimasta confinata in Germania, dove è nata. Poi ha iniziato un’espansione internazionale, anche grazie al contributo di investitori privati come Richard Branson e Suzanne Porsche, che l’ha portata oggi ad essere presente in 7 paesi, 3 continenti e avere 17 uffici in cui lavorano circa 300 persone di cui la maggior parte sono autistici.

A poco più di un anno dalla apertura in Italia possiamo annoverare fra i nostri clienti alcune delle più prestigiose aziende italiane e multinazionali in vari settori: dal bancario all’assicurativo, alle società di distribuzione per giungere alle utilities con realtà tecnologiche e progetti molto sfidanti e complessi. Credo che il successo di Auticon sia in larga parte dovuto al suo modello di business che, contrariamente a molte altre organizzazioni del settore, che si occupano di trovare lavoro a persone autistiche presso le aziende, rispecchia quello della consulenza tradizionale: i consulenti autistici sono nostri dipendenti, fanno progetti presso le aziende clienti e quando termina un progetto passano ad un altro; esattamente come avviene in qualunque società di consulenza.

In questo modo possono restare estranei alle logiche sociali e relazionali, potendosi concentrare così solo sulla performance lavorativa (che è quello che li interessa di più). Allo stesso tempo, questa modalità di integrazione mediante il “modello consulenziale” non costringe l’azienda a dover cambiare i propri processi e modalità operative, ma dà la possibilità di sperimentare l’inclusione gradatamente, senza doversi impegnare sul lungo periodo e valutare così se possano esserci i presupposti per valutare anche questo tipo di integrazione della diversità all’interno della propria organizzazione.

Altro fattore di successo è sicuramente il fatto che ci siamo concentrati nei servizi dove i “talenti innati” dell’autismo possono fare la differenza apportando competenze “speciali” in ambiti che oggi sono molto rilevanti per le aziende: ad esempio il settore del data analysis, la cyber security, il testing del software, il machine learning, e – più in generale – lo sviluppo di software complessi.

Parliamo di te, adesso: come hai sposato questa causa con così tanta passione (soprattutto autentica)?

Come spesso accade nella vita il mio incontro con l’autismo è stato casuale. Fino a due anni fa infatti la mia conoscenza dell’autismo era pressoché nulla o comunque molto superficiale non avendone avuta esperienza diretta né di famigliari né di amici.

Nel 2018, poi, un fondo di investimento mi ha chiesto un parere sul tema perché era interessato a valutare una partecipazione in una società tedesca che utilizzava persone autistiche nell’IT. Ho iniziato così ad intervistare potenziali clienti, psicologi e associazioni e ho capito che poteva essere una buona idea; le persone autistiche erano talenti nascosti e risorse inutilizzate in un periodo di assoluta carenza di skill in ambito tecnologico.

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Quindi ho preparato un business plan per l’Italia e alla fine il fondo non ha più investito, ma Auticon… mi ha chiesto di aprire la filiale italiana! E ho trascinato nell’avventura Simona Ravera – la prima psicologa che mi aveva messo a disposizione la sua trentennale esperienza nell’autismo – e Stefano Morpurgo – un mio ex collega di quando ho iniziato la mia carriera nel settore della consulenza – il quale si è da subito convinto che non solo era una cosa che si poteva fare, ma che si “doveva” fare per poter finalmente dimostrare che impatto sociale ed economico non sono in contraddizione.

Come me, sei un sostenitore del fatto che impatto sociale ed economico possono (e debbono) andare di pari passo

Assolutamente sì. Spesso si pensa che nel Terzo settore debbano operare solo aziende no profit, come se l’impatto sociale passasse necessariamente ed esclusivamente per il volontariato, le donazioni o i fondi e gli enti pubblici. Questa è la nostra vera sfida: dimostrare che le aziende possono generare profitto e allo stesso tempo generare valore sociale.

Generando valore sociale si aumenta il profitto e il profitto permette di mantenere ed aumentare la propria capacità di generare valore sul lungo periodo. Oggi, per fortuna, le aziende stanno iniziando a capire che avere impatto sociale non vuol dire solo “fare del bene”, ma “farsi del bene”. Noi vogliamo solo essere un esempio e aiutare i nostri clienti a fare altrettanto.

Molto bello lo slogan dell’autismo immaginato come un “diverso sistema operativo”: quanto può essere utile, questo sistema differente, alle aziende oggi?

Come dicevo, durante il mio “apprendistato” sull’autismo ho studiato molto e ho capito quanto sia un fenomeno complesso che può essere affrontato da tanti punti di vista, ma nello slogan c’è un fondo di verità: stiamo parlando di un diverso funzionamento del cervello, di un modo di fare esperienza del mondo che parte da una diversa struttura cerebrale.

A noi ovviamente non interessa l’aspetto scientifico o terapeutico che lasciamo agli specialisti. Quello che invece ci interessa è il risultato di questo diverso funzionamento e cioè che le persone autistiche, almeno quelle ad alto funzionamento, hanno (in molti casi, certamente non tutti) delle capacità “diverse”, talvolta straordinarie proprio perché così differenti da quelle dei “neurotipici” (che è semplicemente un termine utilizzato per definire la maggioranza della popolazione).

Sto pensando alla loro capacità di vedere immediatamente i dettagli, trovare rapidamente gli errori, riconoscere ricorrenze, rimanere concentrati eseguendo compiti ripetitivi, pensare logicamente, ricercare quasi ossessivamente la perfezione e i risultati migliori. Ebbene, queste capacità “innate” (autistici si è, non si diventa) e speciali, possono essere proficuamente utilizzate nella risoluzione di complessi problemi informatici o per migliorare l’efficienza e incrementare la qualità di processi e procedure.

Il segreto per ottenere questi risultati sta però nel fare in modo che i diversi “sistemi operativi” possano lavorare insieme, dialogare, scambiarsi esperienze e prospettive, includendosi reciprocamente. E per questo c’è Auticon.

Grazie Alberto, grazie davvero.

Io credo che la mia missione lavorativa richieda anche di dare spazio a realtà come Auticon, che meritano tutto il successo possibile. Personalmente, poi, credo che le parole di Alberto siano ancora più degne di attenzione, perché da professionista leader nel suo ruolo, ha voluto ripartire da zero, mettersi in discussione, insieme al suo Team, e quando dicevo che il suo interesse verso questa sfida così complessa e affascinante è sincero, mi riferivo proprio a questo.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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