la nuova geografia del lavoro

Nel recente libro “La nuova geografia del lavoro” (pubblicato in Italia da Mondadori nel 2013), Enrico Moretti, docente di Economia alla Berkeley University (USA) traccia il quadro di sviluppo dell’economia americana post industriale, con diversi riferimenti e confronti con l’Europa e in particolare con l’Italia.

Con un linguaggio semplice e chiaro, per niente noioso anche per i “non addetti ai lavori”, l’autore ripercorre l’ascesa di alcuni colossi dell’era 2.0, come ad esempio Apple, Google e Facebook, spiegando come abbiano finito per concentrarsi tutti in un’unica area geografica, conosciuta come la Silicon Valley che, pur non essendo l’unico polo altamente tecnologico degli Stati Uniti, ne costituisce indiscutibilmente uno dei più importanti.

Recensioni e riferimenti al libro si trovano su alcune tra le più importanti testate giornalistiche nazionali, come ad esempio qui su Argomenti de il sole24ore

Quattro dei risultati più significativi contenuti nel libro sono:

  1. la ricchezza si concentra principalmente su alcune aree geografiche e, quindi, non si distribuisce in modo omogeneo sul territorio di un Paese;
  2. alcuni settori (high tech, informatica, bioscienze, ecotecnologia, nuovi materiali, robotica e nanotecnologie) sono strategici per lo sviluppo economico di un Paese;
  3. i lavori del futuro saranno quelli più innovativi, cioè quelli “a uso intensivo del capitale umano”, della creatività e dell’ingegno. Tra questi si annoverano le professioni relative all’industrial design, all’intrattenimento, al marketing e alla finanza;
  4. per ogni nuovo lavoratore occupato nel settore high tech vengono creati altri 5 posti di lavoro, mentre per un nuovo lavoratore nei settori tradizionali la media è di 1,8.

Nel libro non si fa alcun riferimento ai lavoratori con disabilità, però è evidente che sulla base di questi trend, che stanno emergendo anche in Italia si possono fare alcune considerazioni sul mercato del lavoro e sulle reali possibilità d’inclusione al suo interno dei lavoratori con disabilità.

 

Infatti, leggendo il libro, viene spontaneo porsi alcune domande, tra cui:

  • Se le possibilità di lavoro si concentreranno sempre di più su aree geografiche ben delimitate (specifiche città o territori), sarà possibile applicare in modo efficace la legge 68/99, che, allo stato attuale, è su scala provinciale?
  • Se le competenze richieste dal mercato del lavoro sono sempre più elevate e faranno sempre più riferimento alla creatività e all’ingegno, quanto conta per una vera inclusione lavorativa la scuola e, più in generale, il livello di istruzione delle persone con disabilità?
  • Per un inserimento lavorativo “mirato”, così come prevede la legge 68/99, ha senso andare a random cercando di inserire chi ha una disabilità dove capita in qualsiasi azienda e con qualsiasi mansione (come spesso leggiamo sui giornali o sui social network), o non sarebbe meglio puntare sull’acquisizione di competenze più specializzate ma più richieste su un territorio di più vasta scala?

Cosa ne pensate?

Grazie a chi vorrà rispondere a queste domande e iniziare un confronto e uno scambio d’idee sul tema, inserendo un commento a questo post!

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