Disabilità e unicità
Sentirsi diversi davanti a chi ha le stessa nostra disabilità

 

Disabilità e unicità
Sentirsi diversi davanti a chi ha le stessa nostra disabilità

Ogni giorno, nel mio lavoro, scopro qualcosa di nuovo. Imparo dai miei collaboratori, vengo a conoscenza di nuove tipologie di disabilità e scopro anche cose che non immaginavo su disabilità ben conosciute. E in questo processo di curiosità e apprendimento quotidiano, c’è sempre spazio per le sorprese.

Desidero raccontarvi un incontro che mi ha particolarmente colpito. Caterina (nome di fantasia) mi ha contattato insieme ai suoi genitori per conoscere Jobmetoo e, soprattutto, le persone che compongono Jobmetoo. Prima di tutto abbiamo desiderato che Caterina seguisse un percorso chiaro, con un colloquio con Valeria, la nostra Senior recruiter. Volutamente sono rimasto in disparte perché Caterina vivesse il primo vero momento lavorativo della sua vita, o per meglio dire che vivesse il primo step: quello del colloquio. Valeria mi ha poi riferito di un incontro oltre le aspettative, che si è protratto anche più della canonica ora.

Solo dopo qualche giorno ho contattato Caterina (direttamente, senza passare tramite i genitori), proponendole un incontro che i suoi avevano richiesto, al di fuori di Jobmetoo. Ovviamente i genitori erano invitati, ma volevo che Caterina capisse che mi stavo relazionando con lei e senza passare per terzi (cosa che, fino a pochi anni fa, dava particolarmente fastidio anche a me: si chiedevano ai miei vicini cose su di me, con me presente…). Ci siamo quindi incontrati la settimana successiva in un bar a Milano.

Devo aggiungere quella che può sembrare una nota di colore, ma che in realtà rappresenta una circostanza che svela molti aspetti nascosti nel nostro rapporto con la disabilità. I genitori di Caterina, molto ossequiosi, avevano fatto un doppio ordine senza accorgersene e così, a distanza di pochi minuti, sono arrivati due camerieri portando vari the e caffè moltiplicati per due! Una bella risata – Caterina inclusa – ha mandato via l’imbarazzo di tutti. I genitori avevano fatto due ordini perché erano talmente presi dal fatto che la figlia “dovesse” parlare con me da perdere di vista tutto il resto.

Il mio primo pensiero

Genitori di persone con disabilità, non mi considerate superficiale per ciò che chiedo, perché anche io ho due genitori (non disabili) che hanno trovato nella mia sordità una realtà a volte troppo più grande perfino di loro: imparate a lasciare i vostri figli autonomi. Insegnate loro a non aver bisogno di voi. È la ricompensa più nobile che potreste ricevere. Se le mie parole non bastano, ecco uno stralcio della celebre poesia di Gibran:

Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i figli sono lanciati in avanti

Nell’ora e mezza trascorsa assieme una parte di me si allontanava dal contesto e restava stupita da alcuni dettagli. È emersa, fin da subito, una certa divergenza tra il lavoro che Caterina ama fare (educatrice) e il lavoro che i genitori vorrebbero per lei (amministrativo, perché più “gestibile” e “tranquillo”).

Il mio secondo pensiero

Il discorso sconfina dall’ambito familiare e interessa tutti noi, dagli Uffici del collocamento mirato ai direttori del personale delle aziende. Dovremmo avere tutti l’umiltà di dare spazio alle reali aspettative del lavoratore appartenente alle Categorie protette, perché nessuno meglio di lui può sapere ciò che ama e ciò che ama di meno.

Poi Caterina, un po’ all’improvviso, ha spiazzato tutti con una riflessione che, chiaramente, aveva dentro da molto, a giudicare dai volti dei genitori, a metà tra sconforto e imbarazzo: “So che devo fare un grande lavoro dentro di me, ma ad oggi non me la sento di stare vicina alle persone con la mia stessa disabilità, come vorrebbero i miei. Mi sento a disagio, non capisco perché dovrei essere obbligata a stare con loro…”. Ammetto che, davanti a questa esternazione, non ho trovato una risposta da dare. Mi sono un po’ perso in un’immagine del passato, e precisamente un fotogramma del celebre film “Indovina chi viene a cena” con un cast di prim’ordine. Sidney Poitier, il Dott. John Prentice nel film, afro americano, si innamora di Katharine Houghton che impersona la ragazza bianca americana Joanna Drayton. La scena clou – dal mio punto di vista di disabile – è certamente quella che offre un eccellente collegamento con i temi della disabilità: chi non ricorda la memorabile scena in cui la governante di colore della casa di Christina, incontrando per la prima volta il Dott. Prentice, ebbe una reazione quasi di repulsione? Ebbene, si può dire che, a diversi livelli e con differenti sfumature, può certamente capitare che una persona con disabilità non desideri essere inserita con coercizione tra i suoi – come voliamo chiamarli?! – “simili”, perché considera questa imposizione una restrizione alla propria libertà di essere. Come dare torto a Caterina?

Protagonisti del film Indovina chi viene a cena
I protagonisti del celebre “Indovina chi viene a cena”

Il mio terzo pensiero

Caterina ha ammesso un suo limite: deve “Lavorare su di sé” per accettare di vivere in compagnia delle persone con la sua stessa disabilità. Eppure io credo che non ci sia nessun lavoro su di sé da fare, per Caterina, che a suo modo ci fa capire come ogni essere umano vada accettato per la propria libertà di scelta. Sarà Caterina, con i suoi modi e tempi, ad avvicinarsi alle persone con la sua stessa disabilità.

Ci lasciamo, con la promessa di rivederci. Caterina quasi non crede alle sue orecchie quando le diciamo che la aspettiamo in ufficio per passare una giornata con lei. La vedo allontanarsi. Ma vedo anche che sta percorrendo una strada in cui lei è la vera protagonista e tutte le persone che le sono accanto sono e saranno sempre più comparse. È giusto così e torno sui miei passi arricchito e appagato. Con mille pensieri in testa.

 

 

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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