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Ricordo da bambino quando andavo al ristorante con i miei (poche volte in realtà, ma sono fisse nella mia mente) e puntualmente la giornata seguiva le seguenti fase: grande euforia per incontrare i cugini, amici e parenti con i quali si iniziava a giocare, correre per il locale e stare poco seduti al tavolo; puntualmente, dopo aver consumato tante energie, ci si sedeva a tavola per mangiare qualcosina al volo, sempre pronti a ripartire con le corse ed i giochi; stremati, a pomeriggio inoltrato (sì, i pranzi erano abbastanza lunghi, come da buona tradizione calabrese) la stanchezza prendeva il sopravvento e iniziavamo ad implorare i nostri genitori a rientrare a casa, volevamo il nostro rifugio, la nostra stanza, il nostro luogo sicuro.

Oggi i pranzi si ripetono, sono ancora un momento importante per socializzare, raccontare ciò che ci accade, riprendere le fila del rapporto, spesso frammentato causa trasferimenti fuori casa, impegni di lavoro e personali. Noto una importante differenza: i bambini corrono poco, quasi per niente, sono seduti al tavolo e hanno la testa china, anche se sono in gruppo, non si guardano negli occhi, ma sono concentrati sui loro giochi, ospitati sui loro smartphone o tablet. I devices personali catturano l’attenzione dei più giovani e a beneficio dei genitori, che vedono nel tablet o nello smartphone, un buon alleato per tenere al tavolo i propri figli.

I tablet hanno un grosso mercato, non sono così diffusi come gli smartphone, ma rappresentano una consistente fetta del mercato mobile: sono una commodity, un secondo terminale, con il quale poter svolgere delle attività in maniera più comoda, come giocare (per i più e meno giovani), poter scrivere dei testi, lavori di grafica…e diverse funzioni che con lo smartphone sono più complesse da gestire.

BITLAB, il tablet che mancava

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Come abbiamo spesso detto su questo blog, una tecnologia porta veramente progresso quando è alla portata di tutti, stesso discorso vale per i devices mobili: sono un progresso per la nostra società solo se tutti possono accederci e possono utilizzarli. Da questo concetto nasce BLITAB, un tablet creato per le persone cieche. Il concetto è abbastanza semplice nella sua natura: il tablet ha due sezioni, una dedicata alla lettura del Braille e l’altra dedicata ad un comune schermo; ciò che è visualizzato sulla schermo classico, viene tradotto in linguaggio Braille. Ma non finisce qui: allo sezione Braille si associa, in qualsiasi momento e in base alla preferenza dell’utente, il voice over, in modo che ciò che è presente sullo schermo possa essere riprodotto con un output audio.

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Il BLITAB non è un tablet chiuso, anzi, l’azienda produttrice non lo definisce neanche un tablet, bensì una piattaforma per l’esecuzione di software e APP per le persone con disabilità: infatti, tramite USB, collegamento internet o tecnologia NFC è possibile leggere tutti gli output classici (es. pdf o txt) in linguaggio Braille o con voiceover.

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Una tecnologia di questo tipo, vincitrice di diversi riconoscimenti, permette alle persone cieche di poter lavorare con uno strumento utile a qualsiasi finalità professionale, permettendo alla persona di essere socialmente attiva e autonoma allo stesso tempo. BLITAB rispecchia in pieno la cultura di Jobmetoo: pensare alla persona prima che alla disabilità, dando la libertà di esprimere sé stessi e avere le stesse possibilità che sono concesse alle persone “normodotate”.

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