NEET

Se parliamo di lavoro, non possiamo non parlare di tutto quello che viene prima: lo studio. In realtà, lo studio non è un atleta che passa il testimone all’atleta “lavoro” e poi molla la corsa definitivamente. Lo studio, che quindi diventa formazione, è un processo di crescita dell’essere umano che dovrebbe essere percepito (come troppe volte non avviene) come un bisogno piuttosto che come una costrizione. E se la formazione non dovrebbe mai smettere di essere coltivata, sicuramente gli anni più importanti sono quelli dell’adolescenza e dell’università. Sono gli anni che creano le basi, le “fondamenta”, e tanto più queste fondamenta sono ben piantate, tanto più si potrà crescere con consapevolezza e libertà di azione.

Che bel discorso che sto facendo: riesco ad annoiare pure me stesso. Per fortuna ci pensa la realtà a portare un po’ di brio, ovviamente al di sotto delle aspettative. E se c’è di mezzo la disabilità allora le aspettative sono una parola da abolire.

Secondo un recente rapporto di Save The Children, nel mondo sono 58 milioni i bambini che non hanno accesso all’istruzione per povertà economica, discriminazioni, mancanza di adeguate strutture e per la disabilità. In Italia, negli anni 2013-14, l’ISTAT segnala criticità relativamente al sostegno (numero di ore non sufficiente, mancanza di continuità), mentre le barriere architettoniche sono ancora un ostacolo duro da abbattere. Significativo, infine, notare come la partecipazione alle attività didattiche da parte dell’alunno con disabilità sia condizionato dalla riduzione di autonomia: anche in questo caso l’accessibilità rappresenta la risposta a molti problemi.

Come se non fosse abbastanza, la burocrazia e la perenne mancanza di fondi impediscono ai professionisti della didattica inclusiva di portare il loro contributo: si legga in merito questo approfondimento di Superando.

E così, davanti a tutti questi dati, mi vengono in mente i numeri – altrettanto drammatici – del NEET: coloro, in altre parole che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro (con questo termine ci si riferisce a tutta la popolazione e non solo ai disabili). In Italia 3,6 milioni di persone sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano impiego. Perché parlo dei Neet?

Perché ad un convegno mi venne chiesto “come mai i disabili non cercano lavoro come succede ai Neet”? Attenzione: avevano chiesto proprio “non cercano”.

Domanda posta in modo improprio: un conto è chi può lavorare e non vuole farlo, né intende formarsi, e questo è un grave problema sociale ed economico. Un conto è trovarci davanti ad una persona con disabilità che vive in contesti non accessibili che compromettono autonomia, che non ha la possibilità di studiare come i coetanei senza disabilità, e che ha voglia di fare e lavorare, di formarsi, di mettersi in discussione, e poi si ritrova dentro casa ad aspettare che il tempo passi.

Mentre il pubblico applaudiva io mi chiedevo, ancora una volta, quanta ignoranza ci sia in giro. Ignoranza, non cattiveria. Ma l’ignoranza fa danni come la cattiveria.

E concludo: non invitare un bimbo con disabilità ad una festa in pizzeria è grave come negare l’istruzione.

 

 

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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