Simone Fanti

Nel mondo della disabilità, e non solo, Simone Fanti è decisamente conosciuto. Ci siamo incontrati alcuni anni fa, dopo che Simone mi aveva dato spazio su Invisibili in un post dal titolo molto significativo. Ci siamo poi visti regolarmente, in occasione degli eventi più importanti sulla disabilità e ho sempre avuto per lui una grande stima per l’umiltà con cui si pone davanti al prossimo e davanti ai temi che affronta. Simone non è un tipo banale (e non potrebbe essere diversamente), sembra sorridere poco (non credo di averlo mai visto sorridere!) e ha una foto sul profilo FB come fosse un fumetto.

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Ebbene, Simone, se fossi il personaggio di un fumetto, chi vorresti essere?

Forse Uatu, è un personaggio poco noto, che ha fatto la sua comparsa nel ‘66. Un alieno che fa parte della razza degli Osservatori. Un esterno al mondo incaricato di guardare come una razza tecnologicamente avanzata, quella degli umani, tenti di autodistruggersi. Ecco talvolta mi sento solo un osservatore che guarda i cosiddetti “normodotati” che cenano silenziosi allo stesso tavolo, senza guardarsi nemmeno mentre chattano. Chissà forse stanno parlando tra di loro via telefono? Talvolta mi fermo ad ascoltare “esperti” che si riempiono la bocca con parole quali inclusione e accessibilità e poi organizzano convegni al secondo piano con scale e senza ascensore. Più di una volta vorrei astrarmi e guardare dall’esterno, ma come Uatu, non riesco mai a non dire la mia. Ad esprimere un disagio. Uatu riusciva a “salvare il mondo” io mi accontento di abbattere un gradino o un pregiudizio.

Uatu

Vorrei cogliere quest’occasione anche per affrontare temi forti. Tu sei diventato disabile e ora la disabilità è al centro della tua vita e del tuo lavoro. Quali sono le differenze rispetto a chi nasce con una disabilità? Hai mai sentito – da disabile a disabile – di essere percepito come un “diverso”?

L’essere umano non è mai contento di essere ciò che è. Mi sono sempre sentito mezzo disabile: se paragono le mie difficoltà a chi sta peggio mi sento fortunato, se lo faccio con chi sta meglio (all’apparenza perché ognuno di noi porta con sé i proprio problemi e i propri lutti) all’inverso mi sento in deficit. Così rispetto a chi è nato con una disabilità ho avuto l’opportunità di vivere tutta una serie di esperienze, ma forse oggi soffro un po’ di più perché queste sensazioni le ho perse. Alcune cose vivono solo nei ricordi, ma – potrebbe dire chi non li ha – almeno ho questa memoria del mio passato da “bipede”.

Oggi parliamo, in sintonia col nuovo paradigma della disabilità così ben descritto dalla Convenzione Onu, di “Persona con disabilità”. Perché è così importante dotarsi di una terminologia appropriata?

Forse chi come me lavora con le parole dà peso alle cose che dice. Dà valore a un termine. Se scrivo, scelgo un termine piuttosto che un altro. Decido che emozione trasmettere. Dico handicappato per esprimere un disagio, un’esclusione. Scrivo persona con disabilità se voglio porre l’accento sull’essere. Io voglio incontrare e raccontare persone, non caselle precompilate, non cartelle mediche ambulanti, non stereotipi. Di conseguenza scelgo la seconda versione ovvero persone con disabilità

Visto che il lavoro è il nostro tema, raccontaci com’è la tua giornata lavorativa…

In questo periodo confusa. Sto operando su più fronti e ho sempre la sensazione di essere come quel bambino della leggenda olandese che metteva le dita nelle falle della diga… solo che nel mio caso le dita non bastano. Sto lavorando per il settimanale “Io Donna sul web, e mi avvicino al mondo femminile – troppo complesso per una mente maschile -. Sto lavorando per Invisibili e sto cercando di portare un po’ di acqua al mulino del mondo della disabilità. Tentando di creare quel ponte umano tra due mondi, quello dei disabili e quello dei non disabili, che si guardano con diffidenza. Faticano a comprendersi perché sembrano parlare lingue differenti. Sto moderando convegni e presentando libri… per aprire la mente verso l’altro. Sto provando a cambiare il modo di comunicare: non voglio soggiacere al facile lavoro di gridare che tutto fa schifo, per lanciare l’idea che tutto è migliorabile. Basta volerlo. Sto aiutando la Fondazione Wings for life a raccogliere, con la maratona del 3 maggio a Verona e il team di InVisibili, fondi per la ricerca di una cura delle lesioni spinali. In altre parole, citando un famoso film, “faccio cose e vedo gente”. Il problema semmai è la sensazione che non mi abbandona mai di fare tanto, ma non riuscire mai a farlo nel modo più giusto o migliore

Qual è stato il cammino che tu e l’azienda per cui lavori avete dovuto compiere perché l’ambiente fosse accessibile per te?

Da questo punto di vista Rcs ha cercato di venire incontro alle esigenze dei dipendenti con disabilità. Non solo l’unico dipendente in sedia a rotelle e sono state assunte persone ipovedenti e con disagio intellettivo e relazionale. L’edificio di nuova costruzione ha facilitato la mobilità. E un pizzico di flessibilità mi ha permesso di muovermi bene. Non sono mancati piccoli problemi, ma pian piano sono stati risolti.

In sincerità: cosa pensi quando vedi Jobmetoo?

A tante opportunità di autorealizzarsi. Il lavoro dà autonomia e autostima.

La Legge 68/99 ha i suoi sedici anni e, nonostante l’evoluta impalcatura legislativa, la Corte di Giustizia ci ha ripreso, il 4 Luglio del 2013, davanti a tutto il mondo. Come dovrebbe essere aggiornata la Legge 68, a tuo avviso?

L’Italia è il paese in cui le leggi devono essere sempre riscritte. Forse basterebbe farle applicare. La 68 è una discreta legge. Chi controlla? Ora la competenza è passata dal Ministero del Lavoro a quello delle politiche sociali. A parlare con gli imprenditori mandiamo gli assistenti sociali? Battute a parte. Le leggi funzionano se c’è qualcuno che si impegna per applicarle. Pensiamo ai Peba, i Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche, sono passati 25 anni e ancora molti comuni non hanno ratificato la normativa. Eppure il rischio che correvano è stato quello di essere commissariati. Secondo voi è avvenuto? Altro esempio, per poter partecipare ad un appalto pubblico bisogna autocertificare che si è in regola con la legge 68 e con l’assunzione di persone con disabilità. Se si mente cosa succede? Nulla. Siamo in Italia

Un pensiero per Franco Bomprezzi: a tre mesi dalla sua scomparsa, cosa ti rimane di lui?

Franco era una persona che nel tempo era riuscito a fare da collante tra il mondo delle associazioni, quello dei media e la politica. Pensatore fine, penna incredibile. Il sentimento che mi viene in mente se parlo di lui è rabbia. Rabbia perché il destino l’ha portato via troppo presto. Rabbia perché non gli è stato dato il tempo di finire il suo libro (cosa che desiderava ardentemente). Rabbia anche perché in troppi tirano per la giacchetta la sua figura anche da morto. Troppi si pongono come eredi del suo pensiero e della sua azione.

Una persona con disabilità, anche non celebre, che ti ha davvero colpito e perché.

Tante… ho aperto la rubrica Vite parallele su inVisibili proprio per raccontare alcuni frammenti delle loro vite. Ultimamente mi sono “innamorato “ della piccola Aurora, 5 anni su una sedia a motore per la Sma (ne parlerò in un post). Mi ha accompagnato alla visita del parco giochi inclusivo di Cascina Bellaria a Milano. Due occhi vispi e una voglia di vivere coinvolgente. Mi ha fatto riscoprire la potenza inclusiva del gioco.

Molte persone con disabilità si sentono distanti da alcuni personaggi famosi disabili: secondo te perché questo accade?

Forse perché si pretende da loro di prendersi carico delle nostre difficoltà. Ognuno di noi vuole un aiuto, una parola, un gesto, e se queste persone non ce la fanno, li si avverte come distanti. Ho imparato a non avere miti o meglio forse a considerare le persone tutte sullo stesso piano. Forse così è più faticoso vivere perché non si hanno punti di riferimento, ma forse, si è più aperti all’incontro. Un po’ come i bambini.

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Molto belli i tuoi racconti di viaggio. Di solito pensiamo all’estero come migliore dell’Italia, ma qui capovolgo la domanda: cos’abbiamo noi in Italia come attenzione sulla disabilità che manca all’estero?

Il senso della famiglia. Sappiamo, se vogliamo, accogliere l’altro, coccolarlo, offriamo ospitalità. Ci mettiamo il cuore. Peccato che spesso la paura ci freni

Il tuo prossimo viaggio?

Sul computer ho diverse cartelline che si riempiono dei mie sogni. Venezia, Vicenza o Siracusa per motivi di lavoro. Per le vacanze sono ancora indeciso tra Azzorre, Birmania e Cuba.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

8 Commenti

  1. Non posso che complimentarmi per questa intervista dalla quale traspare la semplicità e la maturità che contraddistingue te Simone. Un esempio per tutti…normodotati e non! Tenaci e combattivi come sempre…grande!!!!

  2. Carissimo Simone Fanti,
    mi presento mi chiamo SImona sono sorda dalla nascita vivo a Bologna.
    Sono bellissime le sue parole e molto molto toccanti! Ho avuto il modo di conoscere Franco Bomprezzi ad un seminario a Milano nel 2013, persona fantastica , per lui la disabilita’ doveva essere assolutamente fattore di “inclusione e integrazione”! Anche io come te sto combattendo i diritti dei sordi che purtroppo con tante lotte il Governo fa fatica a riconoscere e che fatica! Dobbiamo sempre lottare, lottare e lottare….. e non dobbiamo perdere l’entusiamo! Grazie per il bel blog e complimenti buon proseguimento
    SImona da Bologna (armaroli.simona@me.com)

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