Disabile

Parlare di lavoro e disabilità oggi, nel 2015, con l’innovativa visione della Convenzione ONU (del 2006, lo ricordiamo), significa anche affrontare temi spinosi, che tendono ad essere messi sotto lo zerbino. Ma voglio partire da lontano, da molto lontano…

C’era una volta un ragazzino sordo… ehm, scusate, ho sbagliato inizio. Riprovo.

C’era una volta un ragazzino con i capelli lunghi, così lunghi da nascondergli le orecchie, che a scuola era “bravissimo” anche quando non lo era… Questo ragazzino difficilmente riceveva rimproveri, difficilmente prendeva voti sotto la sufficienza, e lui era contento così. Ci vollero molti anni perché quel ragazzino capisse che il “buonismo” che lo circondava lo avrebbe più danneggiato che aiutato. Se qualche professore, di fronte a quell’adolescente che “non sentiva molto bene” (traduzione: non sente per niente), non si fosse fatto intimorire dalla disabilità, forse lo avrebbe spronato a dare di più e a raggiungere risultati migliori. E quel ragazzino avrebbe avuto più occasioni di crescere, a scuola come nella vita.

Fine della fiaba.

Domanda: quante fiabe così avete vissuto (o state vivendo) o, comunque sia, sono sotto i vostri occhi?

Veniamo all’oggi, e all’interessante osservazione che ci invia un nostro iscritto con disabilità:

Il lavoro è diritto di tutti! Già, diritto, ma cosa vuol dire “diritto” al giorno d’oggi? Non passa giorno in cui non incontri persone (disabili o meno) che usano il “diritto” come salvacondotto in barba a merito, professionalità, fatica, impegno; ma perché faticare visto che la legge prevede che io abbia un posto di lavoro?

Sono le parole di una persona disabile, che non ci sta. Che non vuole avere scuse, che non accetta giustificazioni. In altre parole, che desidera gli sia offerta l’occasione per dimostrare il proprio valore. Non trovate sia una testimonianza magnifica? Voglio renderla pubblica perché merita di essere diffusa. Il nostro iscritto prosegue:

Ho sempre fatto il mio lavoro perché lo stipendio volevo guadagnarmelo e non mi bastava sapere che fosse un mio diritto. Ho sempre rispettato i colleghi, la loro anzianità professionale, la loro esperienza, e ho sempre cercato di imparare dai loro successi e insuccessi. Mi impegnavo per mia soddisfazione e non certo per compiacere, anche perché dal “collocato obbligatorio”, nessuno si aspettava proprio nulla…

Sordità

Altra profonda riflessione da fare: “Nessuno si aspettava proprio nulla”. Sbagliato. Iniziate ad aspettarvi qualcosa da noi persone con disabilità; metteteci alla prova; provocateci, se dovesse servire; invece di darci “6,5” metteteci nelle condizioni di prendere “8”… Dateci così occasione di crescere. E ancora:

Il gruppo di lavoro, comunque mi ha tollerato bene e con il tempo mi ha anche accolto, perché hanno visto che sì avevo una disabilità ma non ero disabile!!! Sono certo che hai afferrato la sottile differenza.

Sì che la notiamo! Ci vorrebbe un post solo questo…

E chiudiamo col botto:

Avevo conquistato, finalmente, stima e fiducia e guarda ora cosa mi è capitato: coordinare il lavoro in segreteria e supervisionare il lavoro del collega con disabilità. Anche questa è una crescita professionale, no? Mentre la mia è una disabilità sensoriale, quindi gestibile con la dovuta strumentazione, la sua è una disabilità cognitiva… con tutto ciò che ne consegue. La domanda più diffusa che mi fanno su di lui è: “Ma ci è o ci fa?”.

Anche a me un collega, un lunedì qualsiasi allo sportello dell’ospedale quando ero amministrativo, con una fila immane di persone che facevano richieste, pressavano, alzavano la mano per attirare l’attenzione, ha chiesto, senza rendersi conto che ero stremato dall’ascoltare con gli occhi: “Ma oggi fai finta di non sentire?”.

Lascio libero il lettore di pensare che questa sia una battuta a effetto per chiudere il post. Ma quella sciabolata mossa dall’ignoranza, forza più devastante perfino della cattiveria, ha lasciato una cicatrice dentro di me. E questa non è una fiaba.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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