Come ho già detto, mi piace pensare a questo blog di Jobmetoo come ad uno spazio in cui la disabilità sia raccontata anche al di fuori della dimensione strettamente lavorativa. Ho conosciuto Antonella per il comune tema delle risorse umane, e la sua storia mi ha molto colpito. Ed eccola quindi invitata qui!

Buongiorno Antonella, ci racconti un po’ di te?

Ciao! Sono Antonella, ho 47 anni. Nella mia vita ho sempre avuto molta curiosità ed interessi che hanno trovato riflesso anche nelle mie esperienze lavorative. Dagli studi umanistici all’archeologia, all’arte, alla cultura. Per approdare al turismo d’arte e dei beni culturali. Un salto nell’editoria, comunicazione, promozione, marketing. Da qui, il passo all’Economia e quindi alle Risorse Umane. Sono approdata nel mondo universitario per occuparmi di giovani talenti e di mercato del lavoro. Dall’università al mondo aziendale per un decennio. Sono oggi Counselor Professionista, Agevolatrice nella Relazione d’Aiuto. Mi interesso di Benessere Individuale e Sociale. Ho particolarmente a cuore il tema del Cambiamento. 

Da cosa è nata l’idea di unirti al Team di Pink Runners del Progetto Pink is Good?

L’esigenza di poter dare voce alla mia esperienza, di poter raccontare e testimoniare quanto vissuto, e l’idea, quindi, di potermi unire al progetto Pink is Good della Fondazione Veronesi, hanno preso forma innanzitutto da una consapevolezza, familiare e poi personale, di stretto approccio all’”universo cancro”; prima attraverso l’esperienza di mia sorella, ammalatasi di tumore al seno all’età di 31 anni, quindi attraverso la mia diretta esperienza, ammalatami di tumore al seno ormai cinque anni fa, ed oggi attraverso l’esperienza di mia mamma, da poco operata ed ora in percorso terapeutico.

Com’è stato il cammino compiuto in questi anni?

Il cammino compiuto durante questi anni è stato di lotta e di crescita personale, per superare il concetto stesso di “malattia” e lavorare, invece, su quelli di “mal-essere”, di “ben-essere”, di “miglior-essere”. A partire da me stessa. La malattia di una parte della mia famiglia, di alcune donne di essa, ma ora la malattia di Antonella, di me stessa. Il “nulla che mi riguardi senza di me”. Un partire dal passato, ripercorrerlo, riappropriarmi di esso e poi staccarmene. Perché era ed è fondamentale il mio presente. Sì, la malattia ha avuto questo primo ed importante compito. Quello di ricondurmi al presente. Costringendomi a vivere nel qui ed ora. Nel nuovo stato si vive una nuova vita, con nuovi traguardi. In un certo senso si rinasce. Si guarda l’esistenza che si è vissuta sino a quel momento con occhi diversi, nuovi. Si entra a far parte di un mondo differente, parallelo al nostro eppure a noi sconosciuto. Di una società che è accanto a noi. Dall’altra parte del sipario. Sullo stesso palcoscenico della vita. La società dei “malati”. Dove le priorità, i valori, i ritmi, i tempi, i gesti, i pensieri sono totalmente differenti da quelli della società dei “sani”. In tutto od in gran parte. Si impara a conoscere la dimensione sociale del cancro ed a far parte di essa. Si impara e si cerca, come malati, a convivere con la malattia ed a condividerla con gli altri, aiutandoli a capire ed a lottare con noi. Si impara e si cerca la condivisione del proprio stato con gli altri malati. Ci si sostiene a vicenda. Ci si avvicina e ci si allontana, ritirandosi ed espandendosi, secondo le proprie forze, i propri tempi, il proprio riuscirci, il proprio esserci. Si scappa quando si sente che è troppo. Si impara poco per volta ad accettare la fatica, non solo quella data dalle terapie, si impara ad accettare la stanchezza anche portata dalla malattia. Ad accettare la confusione mentale, continua, che in certi attimi ha il sopravvento e non ci consente di portare avanti, di compiere, le cose più semplici che abbiamo sempre svolto con tanta naturalezza ed automatismo. Ci si imbatte nella difficoltà di continuare a condurre una vita normale. Se si lavora. Se si ha una famiglia. E ci si imbatte nella difficoltà di molte persone, spesso, ad accettare di noi tutto questo; nascono le incomprensioni con alcune persone care nella nostra vita. Che non riescono ad accettare la nostra nuova situazione e non riescono a starci più accanto. Ed a noi chiedono di essere come eravamo prima. Di fare e di dare come facevamo e come davamo prima. Senza capire che ora è diverso. Certo con grande smarrimento iniziale, e mai con rassegnazione totale, si impara ad accettare di convivere con la paura, con la consapevolezza della malattia, con quella sensazione per cui un’infinitesima parte di te penserà sempre “E se torna?”. Si cambia inesorabilmente e profondamente. Cambiano i rapporti con gli altri. Cambia la vita. Perché si ha una nuova percezione delle cose della vita. E di noi stessi prima di tutto.

Come ti ha cambiata la malattia?

La malattia ti porta a lavorare su te stesso, quasi te lo sussurra o te lo urla a squarciagola; ti dice di guardarti dentro, di recuperare o capire cose che avevi dimenticato o non capito o non ascoltato. Nessuno di noi conosce la funzione positiva del male e solo dopo che lo si vive e lo si affronta, con tutto il suo pesante fardello, in prima persona, si può paradossalmente avvertire la “contentezza” di aver avuto un cancro…Essergli “grati” perché ci ha consentito di guardarci dentro. Di cambiare. Di osservare l’esistenza con altri occhi. Di scoprire o recuperare in noi stessi innate risorse. Si impara a condurre non una guerra col cancro e col corpo ma un dialogo. Si impara ad avere un’estrema, profonda, maniacale e professionale attenzione al corpo ed ai sintomi che esso ci fornisce. Si attraversa ogni genere di emozione e di sensazione. Ci si osserva e ci si conosce come mai prima. Si deve e si vuole imparare ad ascoltare il proprio corpo; lo si può conoscere e scoprire in maniera differente. Si impara a conoscere i medici. Il proprio medico. Si capisce quanto sia gravoso e difficile fare il medico, Si sperimenta sulla propria pelle quanto sia importante usare muscoli, cuore e cervello per combattere il tumore. Così come altre patologie. E quanto il legame fra mente e corpo decida quasi tutto della nostra salute.

Che cosa ti ha insegnato tutto ciò?

Si può imparare a capire quanto sia fondamentale essere ottimisti, cercare di nutrire emozioni positive, aumentare la sicurezza in sé stessi e mantenersi in forma mentalmente. Coltivando una più piena presenza al qui ed ora, vivendo più sereni. Prestando attenzione, con intenzione, al momento presente, in modo non giudicante. Portando l’attenzione su ciò che si sta facendo e “sentendo” con tutti i canali sensoriali. Lentamente, si avverte accrescere in sé stessi la capacità di “stare connessi”. Recuperando quella straordinaria ricchezza del qui e ora e sentendo che la maggiore presenza al presente ci apre ad esperienze inaspettate, alla pienezza del vivere. Ci aiuta contro l’ansia, lo stress, l’eccessiva emotività. Oggi so che ho me stessa. E non posso sentirmi sola. Che sono io a potermi comprendere, sorreggere, trattare sul serio, con rispetto e con delicatezza. So che solo partendo dall’Io posso proiettarmi verso gli Altri. Ho imparato cosa sia l’empatia verso me stessa. Ho imparato e sperimentato un tempo molto rallentato. Un aspettare il mio tempo. Affinché le cose possano emergere. Anche alla luce di tutto questo, mi sento profondamente orgogliosa e grata, ora, di essere entrata a far parte del Pink Team, nell’ambito di questo Progetto.

Le Pink Runners durante un allenamento
Le Pink Runners durante un allenamento

Che cos’è il Progetto “Pink is Good” e chi sono le Pink Runners?

Si tratta di un progetto rivolto a donne, di ogni età, che siano state vittime di tumori femminili, voluto profondamente dal Prof. Umberto Veronesi, recentemente scomparso, e patrocinato appunto dalla Fondazione Veronesi. Progetto che, come squadra di coraggiose e meravigliose donne, oggi amiche e compagne, ci vede Ambassador per portare con orgoglio il rosa, la nostra bandiera, al motto di “Niente ferma il rosa, niente ferma le donne!. Correre, divenire Pink Runners, allenarsi con impegno anche divertendosi. Conducendo uno stile di vita sano. Allenando mente e corpo. Dimostrando che la Vita può e deve continuare, con energia, gratitudine e gioia infinite. Per portare avanti, responsabilmente, nel ruolo di Ambassador, il messaggio più importante: fare prevenzione e sostenere la ricerca. Sorridendo, avendo un atteggiamento positivo, con entusiasmo ed allegria. Condividendo e raccontando, a partire da noi stesse, da me stessa, la nostra e la mia esperienza. Credendo che possa anche e soprattutto aiutare altre donne che stanno affrontando la malattia. Perché rinascere si può. E si deve.

Ci spieghi meglio in che cosa è consistita praticamente la vostra attività?

Il nostro Team di una ventina di Pink Runners si è impegnato per mesi nell’attività di raccolta fondi, attraverso un progetto di crowfunding, destinato a raccogliere aiuti per sponsorizzare borse di studio per ricercatori. Contro i tumori di seno, utero ed ovaie Siamo inoltre state protagoniste, come Ambassador del messaggio, in molteplici eventi un po’ in tutta Italia. Ma il nostro orgoglio, il sacrificio e la gioia più grandi, sono stati l’essere state allenate in squadra, con intensa fatica e molto divertimento, da coach professionisti con appuntamenti settimanali, qui a Milano, e coinvolte in una fitta serie di allenamenti individuali. La salute e la riabilitazione fisica, il controllo e la rieducazione alimentare hanno fatto da corollario. Molte di noi venivano da altre regioni e città, tutte le settimane, e l’impegno in questo progetto è stato immenso per tutte. Considerando che la maggior parte di noi non aveva mai corso o faceva poca attività sportiva. Od aveva addirittura da poco terminato le terapie oncologiche.

Correre insieme dopo il cancro
Correre insieme dopo il cancro

A cosa ha portato questo duro allenamento?

Ci ha consentito di correre tutte insieme, nell’Ottobre scorso, la mezza maratona di Amsterdam. Si è trattato davvero di un progetto che abbiamo potuto e voluto realizzare con tutte noi stesse. Una sfida ed una rivincita contro la malattia, una catarsi interiore, un’elaborazione fisica e mentale di tutto quanto abbiamo vissuto, un inno alla gioia ed una immensa gratitudine alla Vita.

E adesso?

Noi continuiamo comunque il nostro impegno come Pink, perché Pink lo si resta nel cuore tutta la vita. Inoltre proseguiremo come supporter del nuovo Team 2017 per costituire il quale stiamo cercando 20 nuove Pink Runners. E quest’anno la sfida sarà tostissima: la mitica Maratona di New York in Novembre. Essere Pink è stata per me un’opportunità ed una sfida enorme. Ed una delle più belle esperienze della mia vita!

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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