Conoscevo Leonardo di fama, ma non di persona, quando un bel giorno, durante un career day, me lo sono ritrovato a fianco. Abbiamo iniziato con una discussione su chi dei due fosse più celebre: lui diceva me e io lui! Alla fine, senza vincitori né vinti, abbiamo desistito e ci siamo messi a parlare di disabilità (ma non solo) a tutto campo. E sebbene sia già molto conosciuto (Leonardo adesso si sta arrabbiando ma non può ribattere!) sono veramente onorato di mettere nero su bianco qualche bella riflessione fatta insieme.

Ciao Leonardo, partiamo col botto: “Sono all’altezza di risolvere problemi più grandi di me, perché credo in una vita inclusiva” è il tuo biglietto da visita. Come nasce questa descrizione di te?

Ero ad un seminario tenutosi in Microsoft sulla D&I (Diversity & Inclusion) ed era presente un referente di LinkedIn il quale suggeriva, tra le diverse modalità per presentarsi, anche quella di essere spiritosi. Colsi la palla al balzo per descrivermi così: “Sono all’altezza di risolvere problemi più grandi di me, perché credo in una vita inclusiva” e con questa affermazione, al posto della dicitura “categoria protetta”, sentii di essere più fedele alla mia verità. Il termine “categoria protetta” viene usato quando si redige il curriculum e non quando hai la voglia di presentarti come una persona valida e consapevole dei propri obiettivi e delle proprie capacità.

33 anni nel Gruppo Zurich non sono pochi: come ci sei arrivato e, soprattutto, come hai fatto a restare così a lungo quando sappiamo bene come sia difficile, per una persona con disabilità, mantenere un’occupazione stabile?

Zurich era un mio cliente quando facevo il consulente e, fin da allora, esisteva una reciproca stima. Ho quindi osato, mi sono candidato – forte del rapporto professionale in corso – e… sono stato scelto! Zurich mi è sempre stata vicino nei momenti più belli e anche in quelli più difficili della mia vita: ho trovato moglie, perché dovrei cambiare? Aver avuto accanto per 33 anni persone che mi hanno sempre supportato e sopportato eleva questo rapporto ad una sfera che va ben oltre quella professionale.

Il gruppo “Leo & Friends” mi ricorda molto… “Pavarotti & Friends”: parliamone!

Certo anche se non è nato esattamente così! Abbiamo iniziato con le “Leo’s Angels”, un gruppo di colleghe che mi aiutava nella diffusione delle strategie D&I, anche presso le scuole. Poi il gruppo si è allargato e abbiamo cambiato il nome in “Leo & friends”. Le ore passate in ufficio sono tante e nascono spesso amicizie vere, perché non coinvolgere le persone con cui ti relazioni ogni giorno nelle iniziative e nei progetti di CSR e volontariato?

In questo periodo di necessario smart working, ove applicabile, quali sono le considerazioni alla luce della tua disabilità?

Siamo ormai consapevoli del fatto che lo smart working sia uno strumento utile, soprattutto per le persone che hanno una certa difficoltà nel deambulare, (Zurich consente lo smart working 2 giorni alla settimana, 3 giorni per le donne in gravidanza) che ti consente di avere un work life balance ideale. Credo che ci debba comunque essere un contatto umano, altrimenti si rischia di perdere i valori di amicizia e condivisione sociale che fanno bene a te stesso e agli altri. In questo momento di emergenza in cui siamo costretti a rimanere a casa, non vedo l’ora di vedere e ritrovare i miei colleghi, anche solo per un caffè.

Basta parlare di lavoro! Cosa fa Leonardo nel tempo libero?

Nel tempo libero condivido insieme a Riccardo Taverna il complesso e affascinante tema della felicità in azienda; insieme a un team, “bionic people”, porto la mia testimonianza; puoi essere imperfetto, ma sei anche unico e devi avere in te la consapevolezza che puoi rendere la tua vita, e quella degli altri, meravigliosa. Tramite la mia amica Caterina Schiappa della digital bench e con la mia associazione Acondroplasia – Insieme per crescere, ci confrontiamo con giovani e famiglie sui temi dell’inclusione sociale. Avendo avuto problemi di mancanza di autostima fino ai 55 anni, ora mi rifaccio del tempo perduto.

Parlando con te, emerge una vena ironica sempre presente, ma mai fuori posto: quanto è importante affrontare le cose con la giusta dose di ironia?

L’ironia è giusta se non serve per farti accettare dagli altri, bisogna essere ironici nei limiti. Facciamo un esempio. Se durante una riunione qualcuno dicesse “bisogna essere all’altezza delle aspettative”, per allentare la tensione esclamerei “non sperate in me”. Ma se l’ironia si trasforma in derisione verso sé stessi c’è qualcosa che non va in noi e, negli altri, subentra inevitabilmente il pietismo.

Domanda finale, a cui tengo particolarmente. Tu sei un Disability Manager in un Gruppo primario, in un momento in cui tale figura non è ancora del tutto normata e sta cercando di trovare una propria fisionomia. Sii tu a dirci, oggi, di cosa si occupa il Disability Manager affinché possa giungere una voce autorevole da chi sperimenta questa professione in prima persona.

Io non sono soltanto un Disability Manager ma faccio parte di una team, il Disability Inclusive Team. Cerco quindi di convogliare tutti quei fenomeni in cui è facile che si annidi un pregiudizio! Non tratto solo il tema della disabilità ma anche LGBT, religione, gender, aging – tutti temi che sono potenzialmente a rischio di discriminazione. Bisogna anche fare attenzione tra intolleranza ed esclusione, è un tema che mi sta molto a cuore e di cui parlo spesso anche nel mio blog “Il mio mondo dal basso verso l’alto”.

Le mie conclusioni:

Credo che interviste come quelle di oggi siano utili sia lato azienda che lato candidato con disabilità, perché Leonardo li incarna entrambi e, soprattutto, è capace di tenere entrambi i mondi per mano: e non è affatto semplice! Lo stesso sforzo l’ho dovuto fare in prima persona quando fondai Jobmetoo nel 2012: dovetti prima di tutto liberarmi di pensieri e pregiudizi che riguardavano il mondo delle imprese, per poter essere ai loro occhi un fornitore di servizi credibile. Come in tutte le cose, non sono gli estremismi a migliorare il mondo, ma il quotidiano colpo di maglio sull’incudine. Per farlo, come Leonardo ci insegna così bene, ci vuole professionalità, bisogna credere in sé stessi (parleremo presto di empowerment delle persone con disabilità), avere assertività e… un pizzico d’ironia!

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

1 commento

  1. Complimenti ad entrambi, Joshua e Leo, siete due esempi molto belli e presenti nel mondo della disabilità, ancora mooolto discriminato nel panorama lavorativo e non solo..
    Grazie 👍👍

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