Due mani che sorreggono in alto una sfera, apparentemente senza sforzo. I colori, verde e viola, sono contrastanti ma funzionali, e riprendono sia il logo di Fed.Man, sia il fatto che la coadiuvazione di diversità può creare delle sinergie per trasformare le idee in soluzioni in ambito inclusivo (particolare della scultura “Einwurf zum Spiel” (Metti in gioco) di R. Indermaur, foto di F. Nikles)
Einwurf zum Spiel” (Metti in gioco) di R. Indermaur, foto di F. Nikles)"

Come abbiamo più volte detto, la figura del Disability Manager nei paesi anglosassoni è già da diversi anni attiva e ben definita. Non si può dire lo stesso per l’Italia, ad eccezione di una recente Legge regionale della Lombardia (Decreto Dirigenziale n. 2922/18 che ha normato il profilo del Disability Manager nel “quadro regionale degli standard professionali”). Ed è proprio a partire da questa iniziativa che nasce la Federazione Disability Manager per opera di alcune decine di Soci fondatori con lo scopo di focalizzarne l’attività proprio sull’inserimento lavorativo. Infatti, come è ben spiegato in questo articolo di Superando, nel nostro Paese tale figura è fino ad oggi rientrata nel filone dei servizi pubblici ed assistenziali piuttosto che lavorativi: e Fedman vuole andare a colmare proprio questa lacuna. Mauro Buzzi, Socio fondatore e Presidente di Fedman, approfondisce con noi alcuni aspetti salienti.

Innanzitutto complimenti per il sito: è molto chiaro, razionale, e le finalità di Fedman sono evidenti, insieme ad un desiderio di trasparenza. Quali sono le aspettative di questa nuova realtà? Quali gli obiettivi a breve e lungo termine?

Grazie per i complimenti, li girerò alla persona che lo ha progettato e che è nostro socio. L’esigenza di creare Fedman nasce dal fatto che tutti noi, usciti da percorsi di alta formazione universitaria che si proponevano di fornirci competenze necessarie alla gestione dei percorsi lavorativi delle persone con disabilità, ci siamo resi conto dell’estrema varietà delle nostre precedenti esperienze formative e lavorative e del valore aggiunto che avrebbero potuto avere se messe in rete e a sistema. Abbiamo scelto la strada della creazione di una associazione professionale normata dalla Legge 4/2013 per assumerci la responsabilità di tenerci sempre adeguatamente formati (a tale proposito ci siamo dati un regolamento di formazione) e, dall’altra, per “garantire” le nostre competenze nei confronti delle aziende e degli enti che volessero individuare uno dei nostri soci per svolgere funzioni di Disability Manager. Possiamo definirci in una fase di partenza: nati da un anno siamo in attesa del riconoscimento formale da parte del Ministero dello Sviluppo Economico ma questo non ci impedisce di confrontare le nostre esperienze e di usare la nostra rete per la ricerca di soluzioni ai casi concreti. Vorremmo far crescere l’associazione, metterci in contatto con analoghe realtà europee ed essere di stimolo (come abbiamo già cominciato a fare scrivendo all’intergruppo parlamentare sulle disabilità per chiedere la definizione dei decreti attuativi al Jobs Act) per un approccio molto più concreto al tema del Disability management.

Mi sono associato con molta convinzione: quanto il Disability manager sia fondamentale lo dico da tempi non sospetti. Cosa vi aspettate da noi associati?

Come ho già accennato ogni socio ha una sua storia ed una sua esperienza professionale e umana, breve o lunga che sia. Sono associati psicologi, pedagogisti, educatori, architetti, avvocati, assistenti sociali, formatori, cooperatori, sindacalisti. A tutti Fedman chiede di mettere a disposizione la propria professionalità per sviluppare la cultura dell’inclusione in particolare in ambito lavorativo; non solo per accompagnare i processi di inserimento, ma anche nella quotidianità del rapporto lavorativo, nello svolgimento dello stesso, nel suo mantenimento, nei processi di carriera, nella convinzione che – come afferma la Convenzione ONU del 2006 – la disabilità è frutto di barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono alle persone con disabilità la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri. Con un’attenzione che riguarda non solo le persone con disabilità “certificate” (anche sui processi di certificazione ci sarebbe molto da ridire) ma anche le persone con problemi di salute che meritano attenzioni particolari: non dimentichiamo le questioni del forte invecchiamento della popolazione e dell’incremento di malattie croniche che hanno inevitabili riflessi sul mondo lavorativo.

Domanda pratica: chi può rivolgersi a Fedman e per quali necessità?

Innanzitutto coloro che intraprendono o hanno intrapreso un percorso formativo che si conclude con un attestato di Disability Manager. Per queste persone l’iscrizione a Fedman significa l’adesione ad un gruppo che persegue obiettivi di rappresentanza della professione.
In secondo luogo le aziende che intendano individuare professionisti seri, in grado di gestire l’inserimento lavorativo, la gestione dei rapporti interaziendali, la ricerca di accomodamenti ragionevoli o qualunque altra tematica connessa con la disabilità in un’ottica che superi i semplici obblighi legislativi, ma che diventi anche una opportunità di crescita e di investimento per l’azienda.

Dal tuo punto di vista, cosa manca ancora oggi affinché il Disability manager sia considerato un manager aziendale a tutto tondo? 

Molto riguarda l’approccio culturale. L’inserimento (o il mantenimento) di una persona con disabilità è ancora oggi visto come un obbligo legislativo (spesso sopportato obtorto collo). Dietro la persona con disabilità c’è tutto il portato culturale di una persona con capacità limitate e non è un caso che molte aziende preferiscano pagare le sanzioni piuttosto che assumere (oltretutto con il paradosso che l’introito delle sanzioni dovrebbe servire a finanziare accomodamenti ragionevoli e politiche di Disability management). Io penso che il tentativo operato dal Jobs Act con una prima timida introduzione del “responsabile dell’inserimento lavorativo” vada portato a termine prevedendo l’adozione dei decreti attuativi e prevedendo che nelle aziende (con le dovute differenze relative alle dimensioni aziendali) questa figura sia obbligatoria, come dovrebbe avvenire anche nel settore pubblico se le amministrazioni applicassero il dettato della Legge Madia che ha introdotto la stessa figura.

Certo, l’ideale sarebbe che non ci fosse bisogno di un Disability manager, che coloro che si occupano del personale fossero naturalmente in grado di affrontare il tema dell’integrazione della persona con disabilità nell’ambiente di lavoro alla stessa stregua con cui le aziende affrontano il tema dell’inserimento e della integrazione di un qualsiasi lavoratore nelle proprie fila. Ma così non è, almeno per ora. Ci vogliono competenze e abilità particolari, non si può improvvisare. E, se oggi nessuno ha dubbi sul fatto che il responsabile del personale di una qualunque azienda sia un manager dell’azienda stessa, come si possono avere dubbi sul fatto che un Disability manager debba essere incardinato nelle funzioni di management del personale?

Le tue parole mi ispirano una domanda forse banale ma obbligata: meglio un DM interno od esterno alle aziende? Ce lo stiamo chiedendo in molti.

Molto dipende dalle dimensioni delle aziende e dalla loro sensibilità. Le aziende possono già oggi scegliere di formare adeguatamente i propri quadri e dirigenti sui temi del Disability management (e, aggiungo, del Diversity). L’offerta formativa si sta ampliando e molte università stanno effettuando o progettando corsi di alta formazione, specializzazione o master sul tema. Per le aziende di minori dimensioni la consulenza esterna (anche in forme condivise tra più realtà aziendali) è in qualche modo un percorso obbligato. D’altra parte è quello che è già avvenuto sul tema della sicurezza sul lavoro. Tuttavia a differenza di quest’ultimo tema, in cui il rapporto con il professionista spesso si esaurisce nella redazione del DVR, l’integrazione nell’ambiente di lavoro di una persona con disabilità va seguita passo passo, va gestita con intelligenza, creatività e in rapporto con l’ambiente esterno, con la rete e i servizi territoriali. Perché non bisogna dimenticare che abbiamo a che fare con persone e che non esistono soluzioni preconfezionate e che se le barriere tecniche possono essere superate anche con facilità, quelle culturali sono quelle più difficili da superare.

Io non ho molto da aggiungere a queste risposte. Mi sono associato con sincero senso di partecipazione, perché, come dicevo da tempi non sospetti, Jobmetoo sostiene l’importanza di questa figura manageriale e il fatto che sia un’iniziativa che parte dal basso credo sia un segno di quante professionalità e maturità ci siano tra noi, senza che spesso neanche ce ne accorgiamo. Sono certo che se il Disability manager si ritaglierà lo spazio che finalmente gli spetta, sarà anche merito di iniziative come Fedman.

Condivisioni
Articolo precedentell colloquio in azienda: come prepararsi e affrontarlo al meglio
Prossimo articoloLa disabilità in sede di colloquio: cosa dire e come viverla
Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here