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La Conferenza nazionale sulla disabilità, tenutasi a Firenze il 16 e 17 settembre scorsi, è stata chiamata a dare una svolta, attraverso l’elaborazione del nuovo Programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, all’incompiuto programma precedente (quello scaturito dalla Conferenza di Bologna del 2013, come messo in risalto nel report del portale www.handylex.org: delle 127 azioni previste nel Programma precedente, sono una dozzina quelle che hanno visto la luce). C’è da ricordare, in questo discorso, anche il recente incontro a Ginevra, in cui l’Italia è stata chiamata a dare al Comitato ONU sui diritti delle Persone con disabilità precise risposte in merito alla reale applicazione della Convenzione. I due temi non sono scollegati e, anzi, uniti da croniche deficienze che impediscono alle Persone con disabilità la reale partecipazione alla vita sociale ed economica della collettività. Infatti, come è evidente, scarsità di risorse, mancanza di una visione ancora unitaria, competenze eccessivamente suddivise non possono che portare risultati grami.

Appare quindi didascalico discutere dei vari temi affrontati a Firenze (procedure per il riconoscimento dell’invalidità, impulso a garantire una vita indipendente, diritto alla riabilitazione, inclusione scolastica e lavorativa), che da sempre richiedono risposte sempre più certe e precise, se non si ha la garanzia che essi vengano affrontati come la comunità delle persone con disabilità (e non solo) richiede.

Rispetto al tema del lavoro, le modifiche apportate dal Jobs Act non possono essere giudicate senza aver lasciato al tempo il vero giudizio sulla qualità della riforma. La chiamata nominativa e la revisione integrale degli incentivi, su tutti, rappresentano i punti cardine di una revisione che vuol restituire (in un ultimo tentativo?) alla Legge 68 la sensatezza del suo bellissimo slogan “la persona giusta al posto giusto”. Il Decreto 151, che rende esecutive molte novità del Jobs Act, non è tuttavia ancora del tutto esaustivo, mancando alcune linee guida in materia del collocamento mirato. Appare poi sempre più cogente la necessità di diffondere la conoscenza – ma soprattutto la cultura – dell’accomodamento ragionevole. Ad oggi, in Italia non è ancora riconosciuta la figura del Disability manager, che già opera nel pubblico e nel privato di mezza Europa. Un ruolo, questo, che sarebbe perfettamente integrabile nel discorso del Collocamento mirato.

Infine, non si dimentichi che la raccolta dei dati (il Jobs Act istituisce la Banca dati del Collocamento mirato) è uno dei primi punti da cui partire: senza cifre certe (e la VII Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 68 è lì a dimostrarlo), non possono esserci politiche certe.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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