Se negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambio di paradigma – epocale per la disabilità – in cui più che la condizione in sé dell’individuo conta il rapporto che si instaura tra l’individuo stesso, con quella specifica condizione, e l’ambiente circostante, ciò è dovuto ad una sigla di tre lettere – ICF – di cui ricorrono vent’anni di vita in queste settimane. Per “ICF” s’intende la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute che fa parte di una serie di classificazioni dell’OMS.

L’ICF è definito principalmente come uno strumento che consente di spiegare il “funzionamento” di una persona in un qualsiasi momento della propria vita. È composto da una serie di schede, alcune molto dettagliate, che in mano agli addetti ai lavori (medici, prevalentemente), effettuano un ritratto della persona in un preciso istante. È, ad esempio, uno strumento per capire, al di là della condizione in sé, come una persona con disabilità reagisce all’ambiente circostante, in cosa è agevolata e in cosa svantaggiata. Serve, quindi, per ovviare ad eventuali barriere che la persona incontra e a fornire adeguati strumenti e aggiustamenti che possano, per vie diverse, ripristinare parità, partecipazione, indipendenza. L’ICF si può utilizzare in qualsiasi contesto, dal lavoro alla scuola, soprattutto, e nei sistemi sanitari.

Ne deduciamo che se effettuassimo questa analisi sulla stessa persona in tempi diversi, o in ambienti diversi, potremmo avere due scenari diversi. Mille scenari diversi! Questo ci conferma (ancora una volta) che non è più il deficit che ci deve interessare, ma la relazione che si instaura tra la persona con una determinata condizione e l’ambiente circostante: relazione che origina processi facilitatori oppure genera ostacoli. Questo grande traguardo concettuale e culturale è figlio dell’ICF.

Sapete, ne parlo molto poco ai convegni, e non certamente perché sia un tema secondario, ma solo perché, trattandosi di uno strumento molto tecnico, rischia di far passare in secondo piano i grandi traguardi che ci sta facendo raggiungere. Ci fa capire, ad esempio, che il rientro al lavoro dopo la maternità è un momento di “disabilità” (questo esempio, invece, lo faccio spesso), in quanto se mettiamo al centro dell’attenzione la lavoratrice che torna in ufficio dopo mesi di assenza, è evidente che ci saranno delle barriere da superare, degli accorgimenti da adottare, affinché il suo rientro sia quanto più fluido e produttivo possibile. E questo esempio, che tira in ballo persone che possono non essere necessariamente disabili, ci fa capire quanto la disabilità possa insegnarci per la vita in generale. La disabilità può essere quel prisma che dà un colore ad ogni diversità.

Non dimentichiamo, e Matilde Leonardi, neurologa e una delle massime esperte mondiali di disabilità, ne fa un cavallo di battaglia da sempre, il progressivo invecchiamento della popolazione, che porta con sé malattie croniche con cui il mondo del lavoro deve confrontarsi. E se l’ICF ci fornisce una mappatura con tanto di dati e numeri, è evidente che tale potenziale criticità potrà essere affrontata al meglio con azioni coerenti e mirate.

L’ICF ha suscitato sempre in me molteplici riflessioni, a volte contrastanti tra loro. Se da una parte era indispensabile dotarsi di uno strumento che aiutasse tutti noi ad uscire dal vicolo cieco secondo cui la disabilità coincide con l’handicap, d’altra parte le persone con disabilità non possono essere identificate esclusivamente con la disabilità stessa. La disabilità è una condizione, a volte perenne come un tatuaggio, ma non è la nostra interezza, e due persone con la stessa disabilità possono dare origine a due vite diverse, diversissime, nel confrontarsi con differenti ambienti e con quell’unicità di cui ciascuno di noi è portatore.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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