C’è un autentico mondo nascosto nella disabilità che merita di essere portato a conoscenza del pubblico quanto più possibile: oggi parliamo di Hackability.

Si tratta di una realtà non-profit nata ufficialmente nel 2016 per far incontrare le competenze di designer, maker, artigiani digitali, con i bisogni delle persone con disabilità. Diventata una comunità che tramite la digital fabrication e la co-progettazione realizza soluzioni personalizzate e innovative, si avvale del co-design quale strumento principe per generale inclusione sociale.

Come? Attraverso la creazione di nuove competenze per il mondo della disabilità, favorendo così la produzione di casi studio che aumentino la conoscenza delle problematiche di accessibilità legate alla disabilità e all’aging.

Parliamo con uno degli ideatori Carlo Boccazzi Varotto, che ne coordina le attività.

Grazie Carlo per il tuo tempo: com’è nata l’idea?

È stato un lungo percorso iniziato nel 2010 i con una ricerca sulle esigenze abitative delle persone con disabilità. Siamo così entrati in contatto con le soluzioni auto-prodotte nate per rispondere ai piccoli problemi quotidiani. L’idea iniziale, da cui scaturisce Hackability, è semplice: far incontrare le persone con disabilità, che pensano e realizzano artigianalmente ausili, con persone che possano supportare la loro realizzazione, in particolare maker e artigiani digitali. Oggi può sembrare semplice, qualche anno fa però era molto complicato.
Dopo i primi tempi, ci siamo concentrati per creare un format che ci permettesse anche di valutare gli effetti sociali della co-progettazione.
Ed è così che nel 2015 l’esperienza è piaciuta tantissimo ad alcuni giovani ricercatori del Politecnico di Torino ed a molte giovani persone con disabilità: insieme a loro l’anno dopo è nata l’associazione.

120 progetti e centinaia di persone coinvolte: parliamo di un movimento giovane ma capace di generare già numeri significativi…

Hackability si occupa di facilitare il processo di ideazione e realizzazione, ma anche di trasformare ogni tavolo in una piccola comunità.
Designer e maker si connettono maggiormente al processo di produzione e comprendono cosa si può fare in termini ragionevoli (fattibilità, costi, tempi, produzione…).
Questa peculiare tipologia di collaborazione permette di creare anche degli stabili rapporti di amicizia fra disabili ed abili senza creare barriere o diffidenza fra i due mondi che, normalmente, viaggiano paralleli senza incontrarsi.

La collaborazione con grandi aziende e i tanti premi sono autorevoli attestazioni della bontà del vostro operato!

Aver convinto della funzionalità del nostro metodo grandi gruppi industriali come Barilla, Juventus o Toyota è una soddisfazione, ma lavoriamo molto in quelle che qualcuno definisce “zone di periferia”, a Torino come a Milano, a Parma come nelle scuole.
Il miglior attestato ce lo danno le persone coinvolte, quando riusciamo a cambiare, anche di poco, il modo in cui esse lavorano e vivono insieme.
Infatti, i premi Social innovation Prize, Make to care, Index ADI li ha ottenuti il metodo e il suo impatto sociale, non il singolo oggetto.

Perché creare licenze gratuite? Non avete pensato di fare business, un bel business?

I prodotti realizzati, open source – per usi non commerciali – possono essere riprodotti per uso personale o di ricerca, a costo materiale in uno dei centri della nostra rete (Torino, Milano, Parma, Cuneo, Reggio Emilia, Matera).

Tuttavia i diritti per un eventuale uso commerciale rimangono al tavolo di lavoro che lo ha prodotto; il profitto dell’associazione è nell’insight sul mondo delle disabilità che mette a disposizione dei nostri finanziatori, ossia l’accesso al pubblico delle persone con disabilità.
Questo sistema ci permette di realizzare soluzioni fortemente personalizzabili o per numeri molto piccoli. Soluzioni che possono esistere grazie alla prototipazione digitale svincolate da una logica di profitto diretto.

Concretamente, come si può essere parte del progetto? E chi può farne parte?

Possono entrare in un team tutti quelli che ritengono di avere competenze da mettere a disposizione rispondendo ad una delle call che periodicamente vengono aperte sul nostro website, oppure chiedendo di aderire ad uno dei team già attivi.
C’è una piccola, bonaria selezione, ma solo per capire se si è portati, davvero, a lavorare in team. Dopo qualche mese si può chiedere di entrare a far parte di Hackability e lanciare un proprio team.

La più grande soddisfazione?

Tutte le volte in cui un team ha lavorato bene: magari il progetto è piccolo, ma vedi che tutti sono cresciuti professionalmente, umanamente e si sono anche divertiti. Collaborare attivamente vedendo un’idea trasformarsi in realtà sapendo che può essere utile a far star bene altre persone è una grande gratificazione.

E la più grande delusione?

I mondi del making e dell’innovazione sono mondi sani ma, a volte, c’è la tendenza a spettacolarizzare i risultati.
Quando un partner, un ente finanziatore o il membro di un team comincia a chiedere la “bomba mediatica” ecco, questo, fa un poco a cazzotti con il desiderio di perseguire un impatto sociale.
Non capita spesso, ma capita ed è un po’ imbarazzante. Non ci sono, quindi, vere e proprie delusioni, ma percorsi. La difficoltà di non riuscire a creare un prototipo perfetto, serve a migliorarsi ed impegnarsi per migliorare ogni volta la qualità dei progetti.

Di cosa avete bisogno per crescere?

Ci piacerebbe tantissimo dare vita ad un centro dedicato alla ricerca e sviluppo nel campo della disabilità e l’aging che, in linea con la nostra mission, usi il co-design come strumento per produrre conoscenza, e – di conseguenza – processi di open innovation rivolti alle imprese nel campo dell’inclusive e della silver economy.
Non solo un laboratorio quindi, ma un vero hub di innovazione in grado di realizzare corsi, workshop, tavoli di co-progettazione, conferenze, mostre, tutte inclusive.

Un messaggio che, per te, è importante dare?

 La valutazione di impatto non è un modo per valutare quanto si è “buoni”, ma un modo per comprendere cosa si produce. Per noi capire che, non producevamo solo oggetti, ma anche “conoscenza”, è stato fondamentale nel definire il nostro modello di sostenibilità.

Cos’è la disabilità per te? Così, di pancia.

La disabilità è una peculiarità, un’impronta digitale. In questo periodo di quarantena ognuno di noi sta sperimentando in parte la disabilità, non potendo essere libero di fare ciò che vorrebbe.
Il percorso per i disabili può essere talvolta complesso ma, questo permette di apprezzare le sfaccettature della vita e ingegnarsi per superare i propri limiti.
Con Hackability quando si partecipa ad un progetto in team, questa “peculiarità” viene valorizzata, resa unica. Gli strumenti creati possono aiutare ad agevolare o superare il proprio limite.

 

Dopo scambi come questo, mi convinco ancora di più di quante realtà preziose ci circondano che, lontane dai riflettori, si muovono verso il progresso.
Un progresso, specialmente nei nostri tempi, in cui la ricchezza è data anche da una conoscenza condivisa, attraverso il “fare insieme” che, talvolta, genera anche preziose relazioni umane. E anche questo ha un forte impatto sulla vita delle persone con disabilità perché, a partire dalla risoluzione di problemi pratici, possono raggiungere indipendenza sociale ed economica. Lunga vita a progetti come Hackability, allora!

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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