Tra i messaggi di cordoglio per la scomparsa di Franco Bomprezzi, si leva un comune rimpianto: quello di chi non lo ha potuto conoscere. Io l’ho conosciuto, ho avuto questa fortuna, e l’ho anche incontrato più volte. Iniziavo con Jobmetoo a farmi strada, e lui apprezzava di me il fatto che lo informassi solo quando avevo novità importanti; poi, a seconda della notizia, sapeva indirizzarmi verso una rubrica specifica o una certa testata. Non faceva mai scelte a caso. L’ultima volta l’ho incontrato questa estate, una stretta di mano, un sorriso e via, lasciandosi dietro scia di condivisione sui tanti temi della disabilità.
Una parola per definirlo? Diretto. Trasparente, così com’era. Era così come lo vedevi.
Questa credo sia la sua più grande eredità: l’invito a mostrarci, noi persone con disabilità, così come siamo.
Già, perché essere sé stessi – e lo dico da persona con sordità profonda – è forse la più grande conquista per un essere umano. Per un disabile lo sforzo è maggiore, e forse per questo il valore della conquista ha un sapore del tutto speciale.
E, tra i tanti insegnamenti, l’ironia! Già, perché avere un sottile gusto per l’ironia e l’auto ironia non può che aiutare ancora di più la società a rendere forte il nostro messaggio di Persone con disabilità.
Che dirti Franco… grazie!
Anche se con grande ritardo volevo dirle grazie per questo suo ricordo di mio fratello.
La parola grazie,semplice ma sentita,è estesa anche a Simonetta Morelli e a Simone Fanti che,”grazie” a un post su facebook,mi hanno fatto scoprire il suo blog.
Marco Bomprezzi
Grazie a lei per la sua attenzione. Ho cercato di rendere una testimonianza semplice, diretta e spontanea, perché il rischio di menzionare Franco a sproposito è alto. Più che continuare a “tirarlo per la giacca”, come qualcuno ha acutamente osservato, dovremo tutti noi interiorizzare le sue lezioni e applicarle. Ancora grazie di cuore.