Simona-Petaccia

Prendetevi qualche minuto di qualità e lasciatevi incantare dalla scrittura e dal fascino di Simona. Le sue parole sono cristalline come le sue idee. Buona lettura, è proprio il caso di dirlo.

Un primo piano di Simona Petaccia
Un bel primo piano di Simona

Simona, descriviti per i nostri lettori!

Ho scelto di diventare giornalista fin da bambina. Per motivi personali, però, non sono potuta andare a studiare in una delle scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti.

Sono, comunque, d’accordo con chi sostiene che, se vuoi davvero qualcosa, troverai una strada; mentre troverai una scusa se non la vuoi davvero. Seguendo quest’idea, mi sono laureata con lode presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere perché (sognando un po’!) ho pensato che quella specializzazione mi sarebbe stata, eventualmente, utile per intervistare personalità internazionali o per scrivere su testate straniere.

Dopo la laurea, ho collaborato con un quotidiano per due anni, allo scopo di riuscire ad ottenere l’ammissione all’Ordine Nazionale dei Giornalisti. L’iscrizione all’albo è arrivata nel 1999 e da allora ho scritto su diverse testate giornalistiche e offerto consulenze a numerosi soggetti pubblici e privati.

In più, da circa dieci anni, mi sono interessata e specializzata nella Comunicazione e nella Formazione legate a “Turismo e Cultura per tutti”: Servizi e strutture per viaggi e soggiorni in grado di permettere, senza ostacoli e difficoltà, la fruizione di Cultura, Arte, Informazione, Comunicazione, Natura, Ambiente, Sport, Tempo Libero ecc.

La tua disabilità, parlacene.

Ho cromosomi “bizzarri” nel corpo che non hanno consentito il regolare sviluppo dei miei muscoli. Questo significa che non riesco da sola a mettermi a letto, alzarmi, vestirmi, lavarmi, spostare/afferrare oggetti ecc. Pertanto, uso una carrozzina elettronica per girare le vie cittadine laddove non ci sono barriere architettoniche, mentre mi guidano su una sedie a rotelle quando devo usare la macchina per andare fuori città. Rispetto ai mezzi di trasporto pubblici, posso utilizzare soltanto quelli accessibili poiché non sono in grado di stare in piedi né tantomeno di fare gradini.

In ogni caso, sono d’accordo con lo scrittore Ernest Hemingway quando sosteneva: «Non piangerti addosso. Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai».

Simona sulla carrozzina
“Ho cromosomi “bizzarri” nel corpo che non hanno consentito il regolare sviluppo dei miei muscoli”

La tua professione di Presidente di Diritti Diretti ti dà molta visibilità: pro e contro.

Credo che i progetti validi siano sempre il risultato del lavoro svolto da più persone, io sono soltanto la punta dell’iceberg. La mia attività nella onlus Diritti Diretti mi ha dato la possibilità di collaborare con ottimi professionisti (nonché belle anime) e imparare molto da ognuno di loro, questo è sicuramente uno dei PRO.

Poi, tra i vantaggi che la visibilità mi offre, c’è sicuramente la chance di essere quantomeno ascoltata quando chiedo appuntamenti a manager pubblici e privati, al fine di proporre loro soluzioni concrete per aumentare il livello di accessibilità e di qualità dell’ospitalità in un territorio. Ciò mi permette di spiegargli quante opportunità di sviluppo socio-economico possa offrire l’accessibilità nelle svariate declinazioni che essa assume durante la vita quotidiana di ognuno: Turismo, Patrimonio culturale e naturale, Alimentazione, Mobilità, Sostenibilità, Comunicazione, Integrazione culturale ecc.

Prospettiva questa che è spesso ignorata dai più, che abbinano ancora il concetto di accessibilità a quello di abbattimento delle barriere architettoniche per i disabili.

Tale concezione antiquata ci fa entrare anche nel campo dei CONTRO: sono spesso etichettata come una persona che fa battaglie, che protesta ecc. Errore! Io voglio costruire e riqualificare assieme, non abbattere qualcosa.

È tutt’altro, infatti, quello che è proposto da me e dagli esperti di accessibilità con i quali lavoro. Noi agiamo a fare dello sviluppo socio-economico legato alla progettazione di territori che permettono a tutti di arrivare (sistema dei trasporti), dormire (alberghi, bed & breakfast ecc.), mangiare (ristoranti, pizzerie ecc.), scoprire (beni culturali, tradizioni, eccellenze territoriali ecc.), divertirsi (attività sportive, ludico-ricreative ecc.), fare shopping (supermercati, negozi di prodotti tipici outlet ecc.), avere sostegno (ospedali, centri dialisi, ambulatori, aziende orto-sanitarie ecc.).

Il nostro obiettivo è una società accogliente, comoda e sicura per tutti: anziani, obesi, donne in stato di gravidanza, famiglie con bambini nei passeggini, persone con disabilità temporanea o permanente, individui con esigenze dietetiche e/o con problemi di allergie ecc.

Un progetto di cui vai particolarmente fiera.

Ogni progetto è studiato, organizzato e realizzato con la massima attenzione possibile. Per questo, li amo tutti senza predilezioni.

In ogni caso, se devo proprio scegliere, ricordo con piacere ogni percorso formativo con il quale abbiamo diffuso il nostro “virus dell’accessibilità” in corsisti provenienti da tutta l’Italia e la forte risposta della gente quando abbiamo organizzato una raccolta fondi finalizzata all’acquisto di un’altalena per bimbi con disabilità da regalare al Comune di Chieti (Abruzzo) per collocarla in un parco giochi aperto a tutti.

Poi, sono fiera di aver partecipato alla redazione del ‘Manifesto di Matera‘: documento che sintetizza quanto emerso dalle riflessioni effettuate dagli esperti di Accessibilità Universale che hanno attivamente partecipato alla due giorni organizzata a Matera da Officina Rambaldi in collaborazione, tra gli altri, con MIBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), Consiglio d’Europa, Federculture, ENAT (European Network for Accessible Tourism), EIDD (European Institute for Design and Disability) – Design for all Europe, IHCD (Institute for Human Centered Design) di Boston, Regione Basilicata e Comune di Matera. Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, ha già adottato tale Manifesto e, a partire da questa manifestazione, si è costituito un network internazionale e permanente per promuovere l’accessibilità e la cultura della progettazione inclusiva che mira a trasformare la ‘Città dei Sassi’ in un volano per lo sviluppo turistico-culturale di tutte le realtà regionali, nazionali e internazionali.

Per quanto riguarda il territorio abruzzese nel quale vivo, invece, sono soddisfatta di aver portato una competenza specialistica sull’accessibilità al tavolo tecnico-politico della “Via Verde della Costa dei Trabocchi” nella Provincia di Chieti, affinché la milionaria realizzazione e l’incessante comunicazione della relativa pista ciclo-pedonale da realizzare sulla fascia litoranea che attraversa le aree ferroviarie dismesse sulla linea Adriatica tra i Comuni di Ortona (CH) e di Vasto (CH) possa rispondere alle esigenze di ogni categoria di residente e turista. Prima del nostro intervento, l’accessibilità era soltanto un obbligo legislativo, mentre ora la “Via Verde della Costa dei Trabocchi” è l’unico progetto italiano realizzato da un ente pubblico a essere stato selezionato nella sezione PUBLIC dell’International Design for All Foundation Awards 2013: riconoscimento internazionale che privilegia iniziative create da realtà pubbliche, private e non-profit di tutto il mondo che mirano a consentire l’uguaglianza nella partecipazione alla società.

Panoramica della città di Matera
Matera, città europea della cultura nel 2019

Hai ricevuto un riconoscimento prestigioso: cosa significa per te?

Sì, la giuria del Premio Città-Futuro ha deciso di dedicarmi una menzione speciale per l’Accessibilità, nella sezione “Sviluppo architettonico sostenibile”.

La motivazione è la seguente: «Da sempre in prima linea, col suo convegno dal tema “Filiera Accessibilità: Cultura, Turismo, Economia”, Simona Petaccia si classifica per il temperamento, la determinazione accompagnata alla sua dolcezza, la volontà, la capacità di affrontare concretamente, in quanto vissute in prima linea, le problematiche relative alle disabilità».

Sono contenta perché lo scopo del concorso è di raccontare e immaginare le nostre metropoli, tra un presente di criticità ambientale e un futuro a misura d’uomo attraverso pittura, scultura, fotografia, audiovisivi e opere letterarie.

Un sogno nel cassetto?

Essere pagata per viaggiare.

Ad esempio, potrei condurre un programma televisivo e/o curare una rubrica giornalistica sulle bellezze territoriali in ogni parte del mondo.

Preferisco, però, i tavolini ai cassetti così tengo i sogni a vista e li realizzo più facilmente.

Perché no? D’altronde: «Il difficile è ciò che si può fare subito; l’impossibile è quello che richiede un po’ più di tempo» (George Santayana).

E, da giornalista, ti chiedo infine: il linguaggio, nella disabilità, assume importanza per diverse ragioni. Il tuo punto di vista?

Le parole sono importanti perché influenzano il nostro modo di pensare e rivelano la visione che abbiamo del mondo, oltre che il grado di civiltà e il livello di attenzione verso i più deboli.

Sono infinite le forme che la disabilità assume nel linguaggio dei cosiddetti “normali” (menomati, ciechi, sordi, mutilati, paralizzati, handicappati, storpi, zoppi, gobbi ecc.), ma trovo che l’espressione più stravagante sia “diversamente abile” poiché tutti siamo diversamente abili a fare qualcosa. Di certo, nessuno è abile a fare tutto.

Ad esempio: un pasticciere pluripremiato è diversamente abile quando danza assieme a una ballerina professionista e viceversa.

Come indicato nella “Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità” (2006) ratificata anche dallo Stato Italiano (2009), ritengo che l’espressione più adatta sia “persona con disabilità” perché l’attenzione è concentrata sulla persona e la sua condizione è secondaria.

Tuttavia, siamo soltanto all’inizio di un lungo cammino sulla riflessione linguistica che condurrà al reale riconoscimento del diritto alla vita di ogni persona, non solo teorico.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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