Oggi affrontiamo una tematica molto delicata: la sindrome dello spettro autistico.

Come è possibile far comprendere quello che le persone affette da questo disturbo provano nel momento in cui sono in luoghi affollati e fuori dalla propria “zona di comfort”?

Sicuramente non è semplice riuscire a restituire un’esperienza che sia il più possibile simile a ciò che sono le reali sensazione ed emozioni che queste persone provano.

Una risposta  a tutto questo l’abbiamo trovata in un liceo della provincia di Monza-Brianza – Seveso – e, più precisamente, al Liceo umanistico “Giuseppe Parini” – Seregno.

Qualche mese fa, un insegnante di sostegno di un ragazzo affetto da autismo con difficoltà nell’interazione verbale, si è domandato come poter meglio integrare e far interagire questo ragazzo con il resto della classe e con l’intero istituto scolastico.

Ebbene, il Prof. Massimo Rho, ha dapprima chiesto un aiuto alla famiglia del ragazzo che ha raccontato la sua storia e i momenti più salienti di questi 15 anni.

Da qui, è stato montato un video che, attraverso espedienti di montaggio e video-ripresa, dà l’impressione che sia il ragazzo stesso a raccontarsi, a raccontare la storia della sua vita.

Già questo risultato sembrava essere un grandissimo traguardo poiché questo filmato avrebbe potuto essere la risposta al disagio che il ragazzo manifesta nell’interagire con i coetanei. Il video avrebbe raccontato la sua storia e sarebbe finito tutto!

Ma, sarebbe davvero stato sufficientemente efficace quel video per far comprendere il suo vissuto ai compagni di classe ed ai coetanei? La risposta è no: probabilmente non sarebbe stato sufficiente a far comprendere le difficoltà che i ragazzi con la sindrome dello spettro autistico provano giorno dopo giorno in situazioni di stress dettate dall’ambiente esterno!

A questo punto – con il benestare del Dirigente Scolastico Prof. Gianni Trezzi – è stata realizzata una performance attraverso la quale è stato chiesto all’intera classe di partecipare e, in un tempo successivo, raccontare quali fossero state le sensazioni provate nel corso della performance.

Ora entriamo nel dettaglio: è stato chiesto a quattro volontari di uscire dall’aula (ignari di tutto quello che sarebbe successo); nel frattempo agli altri compagni sono state date delle maschere bianche (inespressive) e chiesto loro di (a) far rumore in maniera continua e ripetuta con i click delle penne a scatto e ripetere senza interruzioni il clic clac ed inoltre (b) aprire e chiudere ripetutamente le zip degli astucci.

Oltre a questo è stato caratterizzato l’ambiente con la penombra: luci spente e tapparelle abbassate; è stato anche proiettato – ad alto volume – uno storico video Dada in bianco e nero (video no-sense in tre lingue straniera adatto a favorire lo straneamento).

Creata l’ambientazione giusta è stato quindi chiesto ai quattro volontari di rientrare uno alla volta, fare un giro tra i banchi per tutta l’aula e riguadagnare l’uscita.

Ciascun volontario, nell’entrare in aula, si è trovato in una situazione del tutto differente rispetto a quella che aveva lasciato: i compagni – con maschere – del tutto irriconoscibili e senza nessuna possibilità di cogliere espressioni e sensazioni, rumori ripetuti, il video Dada di sottofondo, la stanza in penombra… in pratica, una situazione di forte stress acustico e visivo del tutto estranea rispetto alla normale attività scolastica.

Intanto i compagni sono stati istruiti di bloccare il passaggio verso l’uscita dell’aula unendo in modo brusco e rumoroso i banchi.

Questa situazione di sbarramento e stallo è stata mantenuta inalterata per una trentina di secondi fino a quando l’insegnante ha abbassato il volume del video Dada, una compagna si è levata la maschera, si è avvicinata al volontario e, prendendogli le mani, guardandolo dritto negli occhi con voce pacata e tranquilla gli ha detto: “Ciao come va?” “Devi uscire dalla stanza?” “Ti accompagno”.

A questo punto il volontario è stato fatto accomodare con gli altri compagni, invitato ad indossare la maschera. Quindi la medesima situazione è stata ripetuta con ciascuno dei volontari i quali, uno alla volta, sono stati dunque protagonisti della performance.

L’obiettivo della performance era quello dell’immedesimarsi, per quanto possibile, in una situazione di stress sensoriale, condizione nella quale spesso le persone con autismo si trovano a vivere nel quotidiano.

Il modo migliore per far comprendere, anche se parzialmente, le “sensazioni” di chi soffre di autismo è stato quello di far sperimentare in prima persona, attraverso artifici, la complessità in cui un persona affetta dal disturbo dello spettro autistico deve tentare di gestire una situazione di stress eccessivo e come, l’esercizio dell’empatia e la differente modalità di approccio dei compagni (il volontario viene preso per mano e guardando la compagna negli occhi gli viene offerto aiuto) possano determinare diverse reazioni.

Infatti, la parte della performance in cui è stato ostruito il passaggio verso l’uscita dall’aula con i banchi, provoca ha provocato nei soggetti volontari svariate reazioni che vanno dall’immobilità, al tentativo di superare l’ostacolo passandovi sopra o sotto. Tuttavia, spesso, un ragazzo con sindrome dello spettro autistico non riesce ad elaborare anche una “soluzione” al problema – motivo per il quale è possibile affermare (in quanto è stato constatato con questa performance) che prendere chi soffre di autismo per mano e offrire aiuto con voce assai pacata potrebbe essere un modo per guadagnare l’attenzione di chi soffre di questa sindrome per consentire di uscire da una situazione di “stallo” e di incertezza.

Per i soggetti affetti da sindrome dello spettro autistico che utilizzano poco o nulla il linguaggio verbale, il contatto visivo e fisico costituiscono un modo alternativo per poter comunicare. E’ importante sul punto entrare in contatto e comunicare con calma e pacatezza e non usare invece modi bruschi o energici che potrebbero al contrario dare adito a reazioni negative.

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