Purtroppo i dati parlano chiaro. Non basta l’esempio di giganti come Microsoft e SAP, che dichiarano piani di assunzione di ragazzi con autismo perché professionali. Non bastano i mille convegni su lavoro, disabilità e diversity in generale. Non basta lo sforzo quotidiano di tutti gli addetti ai lavori: da un’indagine nella provincia di Modena risulta che quasi metà delle aziende coinvolte ritiene il collocamento un espletamento degli obblighi normativi. Come se non bastasse, le persone con disabilità psichica sono ritenute le più difficili da inserire.
58 le imprese coinvolte, piccole e medie imprese, che rappresentano però il tessuto economico tipico italiano. La conclusione sconsolante è che si assume per rispettare l’obbligo. Tutti i dettagli dell’indagine li potete leggere qui.
Non solo. Chi mette in evidenza l’obbligo, non riesce quindi a percepire possibili vantaggi dall’assunzione di lavoratori con disabilità. Il fatto, poi, che in alcuni casi l’assunzione sia vista come modalità per sviluppare la responsabilità sociale d’impresa è un dato, a mio avviso, ancora più allarmante: un conto è essere impresa responsabile con i fatti, e cioè impegnandosi in prima persona (spesso anche con le ovvie difficoltà legate alla ricerca del miglior accomodamento ragionevole) per inserire il lavoratore disabile in modo produttivo, un altro è esibire il disabile per ottenere qualche bollino che certifichi la CSR (Corporate Social Responsibility).
Ma chi mi conosce sa bene quanto io non manchi, in ogni occasione possibile, di sottolineare come le imprese italiane siano molto più attente e sensibili di quanto si possa immaginare. C’è infatti un particolare di questa indagine che può passare inosservato ma che rappresenta un’ottima chiave di lettura del problema: la mancanza di informazione.
Quasi tutte le aziende chiedono alla Provincia maggiori informazioni, tra cui una più approfondita conoscenza delle limitazioni al lavoro dei soggetti inseriti. “Altri fabbisogni emergenti da parte delle imprese in materia di inserimenti sono la necessità di migliorare la conoscenza delle tipologie di disabilità nel loro complesso, l’approfondimento delle relazioni tra il tema della sicurezza e quello della disabilità, lo scambio e la collaborazione con le altre aziende”. Conoscere le best practices, in altre parole.
E torniamo, in un certo senso, al punto di partenza. L’adeguata conoscenza di un fenomeno, che sia il movimento dei neutrini o la disabilità, è il primo step per comprenderlo e per saperlo trattare di conseguenza. E quindi ben vengano gli esempi di Microsoft e SAP, i convegni sul tema e, soprattutto, lo sforzo – uno sforzo entusiasmante – quotidiano di tutti noi addetti ai lavori, affinché maggior informazione e trasparenza possano relegare al passato la visione della persona disabile da collocare per fare un piacere alla legge.