Fa sempre piacere quando uno studente, Nicole Candeo in questo caso, coinvolge Jobmetoo o me personalmente in un lavoro significativo come una tesi di laurea. E sebbene la mia laurea (Scienze Politiche) risalga al 1996, ho un gran bel ricordo di quel periodo, tra libri da consultare, confronti coi docenti, consigli ad amici che avevano scritto su temi simili. Nicole, laureata in Scienze della Formazione e dell’educazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in Disability Management, ha provato nel suo lavoro (che a beneficio di tutti e con l’approvazione di Nicole pubblichiamo integralmente) a ricostruire la genesi di questa figura professionale emergente. Nicole ha accettato, stavolta, di rispondere alle nostre domande!

Ciao Nicole, innanzitutto complimenti per il tuo traguardo: come mai una tesi sul Disability Manager?

Ciao Daniele, ti ringrazio. Come tema principale per la mia tesi ho scelto di concentrarmi su questa figura professionale in quanto, durante la mia carriera universitaria, ho sviluppato principalmente due interessi: il primo riguardante il ruolo di Educatrice, il secondo nell’ambito HR.
Mi sono chiesta come poter unire questi due mondi apparentemente così lontani.
L’idea iniziale è stata quella di trattare il rapporto tra disabilità e mondo del lavoro sotto una chiave di lettura più generale, ma, grazie anche all’aiuto del mio relatore, ho iniziato ad interessarmi molto alla figura del Disability Manager scoprendo in essa un perfetto connubio tra l’ambito (manageriale) HR e quello educativo.

Alla fine di questo lavoro accademico, cosa pensi di questa figura professionale emergente?

Rimanendo in linea con il tema principale del mio elaborato credo che il Disability Manager possa essere definito come un educatore, in quanto il suo ruolo principale è quello di accompagnare la persona con disabilità, non solo all’ingresso del mondo del lavoro, ma anche durante tutto il suo percorso professionale.
Il Disability Manager deve possedere molte competenze per poter riuscire ad occuparsi a 360 gradi della persona con disabilità. Quello che bisogna tenere presente è che si ha a che fare con le persone e con le loro vite, quindi divengono necessarie competenze pedagogiche per poter sviluppare un intervento personalizzato ed ottimale.
Diviene dunque fondamentale l’accompagnamento della persona, e ciò significa saper accogliere, comunicare ed ascoltare, stare accanto supportando l’altro sotto ogni punto di vista: sanitario, psicologico, sociale ed emotivo.
E’ proprio in questo senso che tale figura professionale raggiunge l’apice delle sue potenzialità educative.

Cosa manca, a tuo avviso, affinché il Disability Manager  diventi un vero e proprio mananger riconosciuto da tutti gli attori?

Le mancanze a mio avviso sono principalmente due.
Un primo ostacolo riguarda una normativa chiara che sia in grado di portare tale figura professionale ad essere riconosciuta e regolamentata ufficialmente.
Un secondo ostacolo riguarda l’assenza di un’idea univoca ed uniforme a riguardo. Alcuni sostengono che non debba necessariamente esserci una figura che in maniera specifica si occupi di disabilità in azienda in quanto il disability rientra nella diversità più generale, quella del Diversity Management.
Seguendo questa linea non si può pensare di affrontare la questione in maniera verticale: individuando per ogni categoria nell’ambito diversity una specifica figura che se ne occupi.
Sarebbe più opportuno promuovere una gestione orizzontale: incentivando la formazione di professionisti che sappiano far fronte a qualsiasi tipo di diversità.

Ti piacerebbe essere un Disability Manager? Perché?

Si’, Certamente.
Posso affermare come questa figura abbia suscitato in me enorme interesse e ammirazione.
Credo non sia per niente facile ricoprire questo ruolo: non parlo dei tecnicismi e degli iter burocratici che ogni intervento di Diversity Manager richiede, ma mi riferisco, in particolare, alle competenze empatiche che questo ruolo richiede.
Ogni situazione è a sé, ogni persona con cui si ha a che fare presenta difficoltà, paure, bisogni e capacità differenti, non si può pensare di adottare lo stesso tipo di intervento con tutti, come in una macchina di montaggio.
Il punto focale riguarda proprio il riuscire ad entrare in relazione con l’altro, con il suo mondo interiore, comprendere qual è realmente la situazione di bisogno, quali sono le diverse barriere ambientali, sociali e culturali sulle quali bisogna lavorare e quali le capacità residue da valorizzare.
Ciò che più mi ha colpito è come il Disability Manager porti la persona con disabilità a contribuire attivamente alla realtà lavorativa di cui fa parte facendola sentire gratificata ed aumentando il suo senso di autonomia, di autoefficacia.

In conclusione, ed è anche comprensibile, prevale in questo lavoro di Nicole una visione molto legata al ruolo educativo, ruolo che richiede con forza la capacità di dare alla relazione con l’altro il massimo peso, affinché le strategie da adottare siano efficaci ed efficienti. Nicole, e come lei molti altri giovani pronti a lanciarsi in questo filone professionale, dovranno quindi far fronte a nuovi confronti, come lei sottolinea in chiusura d’intervista, col mondo del lavoro. Io credo che la parola chiave sia orizzontalità, ossia la necessaria suddivisione di cultura inclusiva non solo riservata ai pochi interessati ma come patrimonio aziendale.

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Laurea in Scienze Politiche, poi un quindicennio di lavori disomogenei e frustranti a causa della mia disabilità uditiva grave. Ero per tutti un "bravo ragazzo", ma al momento di affidarmi un compito gli stessi giravano le spalle. Finalmente, grazie ad un concorso pubblico, arriva il posto fisso a tempo indeterminato come amministrativo in una azienda sanitaria. Fui assegnato al front office ospedaliero, mansione del tutto incompatibile con la mia sordità. Dopo alcuni anni veramente sofferti, la decisione di dimettersi: una decisione adulta, consapevole, serena. Quindi la scelta di essere un imprenditore per far diventare impresa il binomio che nella mia vita non aveva mai funzionato: lavoro e disabilità. "Nulla su di noi senza di noi" non è solo lo splendido motto delle persone con disabilità, ma il messaggio di speranza che muove verso l' autodeterminazione.

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