La disabilità è una parte della persona, un aspetto del proprio essere, un modo unico di poter vivere la vita. Tante persone hanno un approccio negativo con la disabilità, sia personale che nei confronti delle persone disabili: non sanno come viverla, come comportarsi, come difendersi (se ma una difesa ci debba essere).
Questo disagio è spesso dovuto ad una lacuna culturale, ad un confronto con una persona che vive una vita diversa dalla nostra, che vive il quotidiano in maniera soggettiva, proprio condizionato dalla disabilità. Credo fortemente che la soluzione ideale affinché ci sia un’integrazione sociale si basi sull’inclusione: basare la società, le dinamiche che si sviluppano e il modo di vivere l’ambiente circostante su diversi fattori, standard e no.
Una cultura basata sull’inclusione deve nascere sin da subito, quindi è opportuno intervenire a scuola, in ogni caso, da quando si è bambini: dare un’indicazione sugli standard, non su una singole modalità di fruizione della società e dei servizi associati, così come una visione multi sfaccettata della vita e dell’essere delle persone.
Per facilitare l’inclusione ed introdurla sin dai primi anni di vita dei bambini è nato Kibu, un gioco indirizzato ai giovanissimi appassionati di videogiochi, dai 5 agli 8 anni: uno piattaforma ludica che potenzia le funzioni cognitive alla base degli apprendimenti (come memoria, attenzione, ragionamento – Visualizza il video)
Cosa identifica questo gioco come altamente inclusivo? La sua capacità si calibrare le difficoltà dei livelli in partenza e accompagnare il bambino verso un miglioramento incrementale nelle sue abilità. Volendo forzare il paragone, siamo vicini ad un’intelligenza artificiale applicata ai videogiochi e alla disabilità.
Un importante passo verso l’inclusione, un coinvolgimento forte e ludico allo stesso tempo, un modo innovativo di sensibilizzare alla disabilità.