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Accorgersi dell’ovvio non è una cosa semplice, ma quando succede la prima cosa che viene in mente è “ma come ho fatto a non pensarci prima”.

L’ovvio ha bisogno di essere scoperto dopo attente analisi, ma questo nessuno lo sa.

Come me che, durante un corso di analisi dei bisogni del territorio, vivevo una delle epifanie più potenti della mia vita. Ascoltavo la testimonianza di una ragazza, che ci raccontava di viaggi organizzati dalla sua associazione. I viaggi erano dedicati a persone con disabilità motorie e sensoriali.

La ragazza, non ricordo il nome, raccontava delle sue difficoltà nello stilare una guida della sua città.

– “Beh, certo non è facile, ma non capisco perché devi mappare tutti i veterinari della zona”, affermavo io, l’ingenua.

– “Ma se una persona non vedente è accompagnata da un cane e il cane ha un problema?” rispondeva lei, mettendomi a tacere.

Epifania.

La scoperta dell’ovvio.

Quando pensiamo all’accessibilità, la cosa che ci viene in mente sono le barriere architettoniche. Quindi, nella pratica, se ho una disabilità e mi trovo di fronte a “qualunque elemento costruttivo che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi” diciamo che sono spacciato.

E la vacanza non è che non me la godo, io la vacanza non la faccio.

Ma andiamo per gradi.

Togliere “qualsiasi elemento costruttivo che impedisca limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi” significa abbattere le barriere architettoniche, e consentire ciò che non era concesso in precedenza.

Perfetto. Ma questo non significa consentire a me, che ho una disabilità certo, ma ho anche gusti, passioni, preferenze di godermi una vacanza.

Limitarsi ad abbattere le barriere architettoniche non ha nulla di rivoluzionario.

Le politiche di inclusione sociale delle persone con disabilità dovrebbero considerare l’abbattimento delle barriere architettoniche come un buon punto di partenza e non un punto di arrivo.

Ma ripeto, accorgersi dell’ovvio non è una cosa semplice. Concedere la libertà di scelta, non è una cosa semplice.

Però ci sono persone che ci stanno provando. Persone che con la disabilità ci convivono, che lavorano con persone che con la disabilità non ci convivono e non la conoscono. Persone che non vogliono “concedere” il diritto alla vacanza.

In questo mondo ci sono capitata per caso, parlando al telefono con il mio amico Gianmarco. Una persona che ha sempre un nuovo progetto a cui lavorare e di cui parlare. Di certo è un lavoro, ma “io collaboro a questo progetto anche per il forte impatto sociale”.

Questo progetto si chiama Tripmetoo ed è nato in Campania. Tripmetoo ha contribuito alla mia epifania e mi ha indicato una direzione verso la quale guardare.

Ed è così che è iniziato il mio piccolo viaggio “internautico” seguendo la strada che mi avevano indicato Tripmetoo e il mio amico Gianmarco. E in quella direzione c’erano aziende e associazioni che si occupano, in maniera uguale e diversa, di turismo.

Realtà come Tripmetoo, Access Emotion, VillageforAll (V4A®) e Turismi per tutti dell’associazione Diritti Diretti ci descrivono, attraverso i loro progetti, quanto è limitante guardare al di qua della questione delle barriere architettoniche.

Perché andare in vacanza per molti significa un spostarti da un luogo di partenza ad un luogo di arrivo.

Il lavoro di queste realtà invece guarda verso l’autonomia del viaggiatore.  Nessuna concessione, nessuna “assistenza”. Lavoro per darti la possibilità di scegliere.

Queste realtà nel loro lavoro quotidiano non ti dicono “io ti assisto perché tu hai una disabilità” ma ti dicono “io sto lavorando per darti piena libertà di scelta”. La disabilità è un punto di partenza che si prende in considerazione, certo, ma non è onnipresente. Le parole di Giovanni D’Alessandro, CEO di Tripmetoo, rendono cristallino il concetto “noi lavoriamo per il diritto all’esperienza della vacanza dedicandoci allo stesso modo a chi ha esigenze speciali e a chi non ne ha. Lavoriamo per creare un contenitore in cui ogni viaggiatore viene messo sullo stesso piano degli altri”.

C’è qualcosa di più rivoluzionario del concedere il libero arbitrio?

Forse si, ma questo forse lo scoprirò durante la prossima epifania.

Francesca Postiglione

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